Il migliore amico dell’uomo? È un libro
IL POETAFranco Marcoaldi e “Una certa idea di letteratura”
“Nove giorni prima di morire Emanuele Kant ricevette una visita del suo medico. Benché vecchio, malato e quasi cieco, si levò e se ne stette in piedi, tremante di debolezza, mormorando parole incomprensibili. Alla fine il suo fedele amico comprese che egli non si sarebbe seduto finché lui stesso non si fosse accomodato. Il che egli fece, e allora Kant si lasciò accompagnare alla sua poltrona, e ripresa lena, osservò: ‘Il senso dell’umanità non mi è ancora venuto meno’”. Così Erwin Panofsky provò a spiegare cosa vuol dire ‘umanistico’: intendendo dire che le arti, le lettere, la filologia o la poesia servono in ultima analisi a rimanere umani. Nonostante tutto, umani: che è esattamente ciò che non riusciamo più a fare oggi, divisi tra la caccia al profitto e quella al negro.
NON CI SONO manuali, per rimanere umani: ma ci sono amici capaci di prenderti per mano, e di guidarti. Nel suo felicissimo Una certa idea di letteratura. Dieci scrittori per
amici ( Donzelli), Franco Marcoaldi è così generoso da condividerne con noi una lista, e con essa la sua personalissima via all’umanità. Da poeta vero qual è, egli sa che non potrà chiudere perfettamente nel giro delle parole la corsa sfrenata di Pozzo e Nina, i suoi adorati cani, o lo stellato estivo che gocciola sulla sua Maremma. Ma sa anche che, per avvincerci alla vita e insieme liberarci dal suo peso, nulla è più potente delle parole degli scrittori e dei poeti: che rifanno nuove tutte le cose, proprio come il Dio cristiano annuncia di voler fare alla fine del mondo.
Marcoaldi convoca dunque intorno a un tavolo immaginario, imbandito della gioia e della fatica di ogni giorno, dieci amici: da Italo Svevo a Luigi Meneghello, da Andrea Zanzotto a Giorgio Caproni, da Brodskij alla Szymborska. Alcuni li ha conosciuti consumandone i libri, altri li ha frequentati di persona: profondamente in qualche caso, oppure solo sfiorandoli. E in dieci fulminanti ritratti – in cui li mostra intenti “a scoperchiare la realtà per reinventare se stessi” –, l’autore riesce a dirci perché quelle parole, e non altre, sono state e sono per lui un quotidiano salvagente nel mare della disumanità.
I temi sono quelli cardine: “Lo scarto tra sentimento e ragione, l’inafferrabilità angosciosa del tempo, il mistero invadente della sessualità... la dialettica potere-libertà... la coppia vizio- salute... l’in esausta ricerca di un senso anche là dove non si riesca a rintracciarlo”. E il tempo è ora: sì, nonostante tutto. Chi può pensare di sostare a leggere letteratura, poesia perfino, mentre l’Italia e l’E ur op a vanno in frantumi, una terza guerra mondiale si combatte a pezzi (secondo le parole di papa Francesco) e il Mediterraneo inghiotte schiere di dannati ( dannati da noi)? Proprio per questo, il tempo è ora: “Mai come adesso – scrive Marcoaldi – c’è stato e c’è un bisogno estremo di letteratura”. Perché “chi altri se non lo scrittore e il poeta ha a cuore nella stessa misura lo spazio individuale e pieno di ciascun individuo?”. Perché, scrive parafrasando Roland Barthes, la letteratura “protegge la fragilità miracolosa di ogni singolo istante. Perché rappresenta il tentativo più efficace di ‘scremare la realtà’, e di catturare ‘una sfoglia di presente’, valorizzando il lampo epifanico della bellezza, dovunque si manifesti”.
Avere “dieci scrittori per amici” significa chiudere questo piccolo, prezioso libro per precipitarsi in biblioteca o in libreria ad ascoltare in modo esteso e duraturo la loro voce, per provare a guardare il mondo, noi stessi e gli altri esseri umani con i loro occhi fatati. Personalmente, tra questi grandissimi dieci, sono stato catturato da Giorgio Caproni, il vero modello poetico di Marcoaldi, il quale gli dedica pagine meravigliose che si concludono andando al cuore del problema, singolo e collettivo: “Questo è il succo ultimo delle cose: niente ci appartiene. Caproni descrive tale strazio con versi scolpiti, che lasciano senza fiato: ‘Tutti riceviamo un dono/ Poi non ricordiamo più/ Né da chi né che sia./ Soltanto ne conserviamo/ – pungente e senza condono/ la spina della nostalgia’”.
COME SI FA a non correre a comprare tutte le poesie di Caproni? L’ho fatto, e tra tante pagine vertiginose, ho tro- vato versi che sembrano il manifesto ideale della necessaria palingenesi di oggi: dei singoli, di una qualsivoglia sinistra, di un Paese intero. “L’ultima mia proposta è questa/ – scrive Caproni in Per le
spicce –Se volete trovarvi,/ perdetevi nella foresta”. È qui, in questa foresta interiore, che Franco Marcoaldi ci insegna a perderci: per trovarci.