Tap: “Dire no costa 20 miliardi, ormai bisogna costruirlo”
La figuraccia Il governo M5S, in una riunione con gli eletti pugliesi a Palazzo Chigi, ammette che il gasdotto (caro a Trump) si deve fare
L’aria, quando si inizia poco prima delle 20, è quella da tragedia sia in senso psicologico che teatrale: tutti sanno che la storia va a finire male, ma vogliono recitare il copione fino in fondo. La riunione che si svolge a Palazzo Chigi col sindaco di Melendugno, gli eletti 5 Stelle in Puglia e pezzi di governo (presidenza, Mise, Ambiente, Sud, etc.) riguarda il Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto meglio noto come Tap sulla cui utilità e bontà ambientale - com’è noto - esiste più di un dubbio, per così dire.
E PERÒ IL TAP, oltre a coprire la distanza tra la frontiera turco-greca e le meravigliose coste del Salento, copre anche quella psicologica tra la piazza e il palazzo, tra l’opposizione e il governo, tra il cambiamento e il non c’è alternativa. In breve, la distanza tra “una volta al governo fermeremo il progetto in 15 giorni” (Alessandro Di Battista, aprile 2017) o “il Movimento era e sarà sempre No Tap” (Luigi Di Maio, 2 settembre) e “il Tap non si può bloccare: ci costerebbe tra i 15 e i 20 miliardi in penali” scandito dal governo ieri sera al tavolo con gli eletti No Tap che ora lasceranno che il Tap si faccia.
La questione delle penali non è aggirabile. Come Il Fatto ha già scritto più volte, il problema è un trattato internazionale (ratificato dal Parlamento a dicembre del 2013) con Grecia e Albania in cui l’Italia s’impegna a non ostacolare l’opera e, anzi, a rimuovere gli eventuali ostacoli. Sulla violazione di questo impegno - secondo i principi dell’Energy Charter Treaty (un trattato da cui l’Italia è peraltro uscita dal 2016) - si esprimerebbe il tribunale arbitrale di New York, ideologicamente strutturato attorno agli interessi delle imprese: Palazzo Chigi calcola appunto il risarcimento in 15-20 miliardi e lo giudica più che probabile visti gli impegni presi e il completamento dell’opera al 98% in Grecia e Albania.
La platea degli eletti No Tap non l’ha presa bene, tanto più che il sindaco di Melendugno (Lecce) - fiero oppositore del lungo tubo che deturperebbe una spiaggia del suo Comune - era entrato a Palazzo scolpendo questo: “Il Tap ha commesso illegalità e illegittimità: ci sono errori progettuali e falsificazione dei documenti, quindi si ferma non per responsabilità politica ma per responsabilità di Tap stessa”. Anche lui sapeva benissimo che non sarebbe successo, ma lo show ha le sue regole.
La maggior parte delle lamentazioni al tavolo di Palazzo Chigi, peraltro, sono state rivolte al povero sottosegretario al Mise Andrea Cioffi e al portavoce di Conte, Rocco Casalino, massime autorità in carica, diciamo, dal momento che i ministri erano tutti impegnati nel Consiglio che ha approvato la manovra economica: solo dopo sono arrivati Sergio Costa e Barbara Lezzi e, verso le 22, pure Conte. Il premier avrebbe potuto spiegare ai convenuti, ma non l’ha fatto, che tra le poche richieste ultimative rivoltegli da Donald Trump a Washington c’è stato il Tap: “Va fatto”. E l’Italia adesso non può proprio permettersi di scontentare il suo unico alleato di peso.
LA TESI DEGLI “OSTILI” è che le autorizzazioni concesse al consorzio Tap (che le ha tutte, compresa la Via, valutazione d’impatto ambientale) sono viziate da cartografia errata e/o manomessa e, in particolare, sperano che il ministero dell’Ambiente blocchi tutto con una nuova Via grazie alla “posidonia”, una pianta acquatica protetta che sarebbe presente nei fondali d’arrivo del gasdotto. Problema: la posidonia non risulta dalle carte e non si può fare una nuova Via senza prove (sempre per quel problema dei ricorsi). Questo rende impossibile anche “il piano Emiliano”, cioè spostare l’a pprodo a Brindisi: anche così, infatti, c’è il rischio di risarcimenti altissimi.
Costa ha promesso nuovi controlli in 48 ore sulla questione “posidonia” e Conte detto senza farsi capire che il Tap si farà. È rimasta n el l’aria l’ultima idea: si faccia almeno una consultazione popolare. Impossibile, ma servirebbe a salvare (un po’) la faccia sul territorio, dove gli eletti grillini hanno cavalcato l’onda No Tap e oggi pagano il prezzo del tradimento. O solo della distanza che separa la piazza dal palazzo.
Realpolitik
Il Trattato 2013, le autorizzazioni già concesse e le richieste Usa legano le mani ai grillini di potere
ALESSANDRO DI BATTISTA
Una volta al governo fermeremo il progetto in 15 giorni Aprile 2017
LUIGI DI MAIO
Il M5S era e sarà sempre No Tap Settembre 2018