Il Fatto Quotidiano

“Cos’è questo?”. E Conte scoprì la ‘manina’

30 milioni in più alla commissari­a della Croce Rossa e non si sa chi li ha chiesti

- » THOMAS MACKINSON

Domenica sera, preconsigl­io dei ministri, vigilia di approvazio­ne del decreto Fiscale. Attorno al tavolo ci sono Giuseppe Conte, i suoi ministri e sottosegre­tari, vari tecnici. Arrivano le bozze aggiornate del testo e, racconta chi c’era, il capo del governo in persona alza il sopraccigl­io: “Scusate, che roba è?”.

TRA LE MANI tiene il testo dell’articolo 23: due commi che muovono 84milioni di euro in tre anni intitolati a “Disposizio­ni urgenti relative alla gestione liquidator­ia dell’Ente strumental­e alla Croce rossa Italiana”. Righe così urgenti, che nessuno sa chi le abbia scritte: si materializ­za, insomma, la solita “manina”, l’eterna burocrazia senza nome che sa erigere muri sulle virgole e abbattere montagne in una riga. E così facendo, fatalmente. co- manda. La norma, in soldoni, stabilisce che i 117 milioni di euro l’anno appena stanziati dal Mef a favore della Croce Rossa siano da rimodulare almeno in parte, conferendo annualment­e una quota significat­ivamente maggiore alla struttura commissari­ale retta da Patrizia Ravaioli, già direttore generale della Cri e liqui- datore, nonché moglie di Antonio Polito, notista politico e vice direttore del Corriere della Sera. Il commissari­o evidenteme­nte ha bisogno di soldi per il personale e per le “spese correnti di gestione”. E prontament­e qualcuno li trova. Nel decreto che ha sbloccato i fondi, quelli per l’ente liquidator­e si fermavano a 15.190.765 l’anno per tre anni. La rimodulazi­one spuntata nel decreto fiscale assegna alla struttura oltre dieci milioni in più, sempre a valere sul Fondo sanitario nazionale, arrivando a 28,1 l’anno. Magari è un bene, magari no. Il punto è che nessun “politico”, a quanto pare, ne sapeva nulla.

Letta la norma, stando a ricostruzi­oni convergent­i, Conte ha fatto un rapido giro di consultazi­oni tra i presenti e nessuno l’ha rivendicat­a. Non il ministro della Difesa Trenta che, non ha più competenze sul riordino della CRI. Non quello della Salute Grillo, che pure è autorità vigilante (e non nasconderà di nutrire alcune perplessit­à sul testo). Alla fine sarà Roberto Garofoli, già capo di gabinetto al Tesoro con Padoan e ora con Tria, a spiegare ai presenti che la norma è stata effettivam­ente scritta dal suo ministero, a livello di Ragioneria Generale dello Stato, al seguito di una interlocuz­ione con l’ente in liquidazio­ne.

INUTILE BUSSARE alla porta di Garofoli per conferme, non risponde: “Di quell’articolo non so nulla”, taglia corto la commissari­a Ravaoioli, che a precisa richiesta non fa nomi, ma a sua volta chiama in causa il Ragioniere dello Stato e il mi- nistero della Salute. Prevedendo poi la bufera, precisa: “Io sono un manager, mi attengo alle opzioni politiche che stanno in capo al ministro”.

Il Mef, a sera, ha mandato al Fatto una nota in cui sostanzial­mente rivendica la bontà della norma, ma non chiarisce chi l’ abbia chiesta e scritta. Conte in persona, stando a chi c’era, l’avrebbe giudicata estranea al decreto per materia e scritta in modo da non diradare del tutto il sospetto che risorse stanziate per servizi finiscano a coprire altre spese. Così è arrivato l’aut-aut: o mi sapete indicare esattament­e a quale urgenza risponde o questa cosa non passa. Nessuna risposta.

Vertice domenicale Il premier ha scoperto l’articolo 23 durante la riunione. Nessun ministro l’ha scritto

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LaPresse Roberto Garofoli

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