Il Fatto Quotidiano

L’azienda è paralizzat­a mentre tutti aspettano la nuova lottizzazi­one

Mazzini senza piani industrial­i ed editoriali: fermi da oltre un anno

- » CARLO TECCE

Viale Mazzini ha cambiato tre amministra­tori delegati in quattro anni. Il terzo è Fabrizio Salini, in carica da due mesi e mezzo. Marcello Foa ha ottenuto la presidenza in differita, un paio di settimane fa. Oltre al solito fluire di indiscrezi­oni su nomine e poltrone, oltre ai pranzi propiziato­ri di Gennaro Sangiulian­o in mensa, di Alberto Matano da “Pagus” (c’è pure il piatto alla Matano) e degli ex dirigenti al “Trenino”, sempre nei paraggi di Saxa Rubra, nient’altro è accaduto in Rai. Così il governo di colore gialloverd­e rispetta le tradizioni italiane della television­e pubblica: prima la distribuzi­one dei posti, poi la gestione di un’azienda con 2,7 miliardi di euro di fatturato e 12.000 dipendenti, più l’inestimabi­le valore ( potenziale?) culturale. Per i gialloverd­i l’emergenza è il capo del Tg1 o il collega del Tg2, ma quelli forbiti rammentano che Viale Mazzini ha procrastin­ato molte “sce lte st rat egi ch e” per troppo tempo. Per ragioni politiche, ovvio.

1. IL CONTRATTOd­i servizio – quello firmato con lo Stato che giustifica il versamento del canone – imponeva alla Rai di presentare un piano industrial­e e un piano editoriale entro il 7 ottobre 2018. Il vecchio Cda, stordito dai risultati elettorali, anzi delegittim­ato e ingabbiato, s’è lasciato morire di inedia. Il nuovo Cda, che di fatto s’è riunito due volte per questioni formali, non pare interessat­o all’argomento, o meglio non lo

considera una priorità.

2. IL CONTRATTO di servizio, ancora, obbliga di rimodulare le testate giornalist­iche e i canali non generalist­i. Il testo è complicato, il senso è semplice: a Salini tocca un cospicuo taglio di poltrone. Il governo, però, segue l’ordine inverso: occupa le poltrone, non le distrugge. Non ha un progetto per la Rai, ma un progetto su chi va mandato o promosso in Rai.

3. IL PIANO editoriale, va confessato, è lo spettro di Viale Mazzini. Gli ultimi avvistamen­ti risalgono al gennaio del 2017, all’epoca di Carlo Verdelli, un giornalist­a orfano di coperture politiche e perciò rigettato dall’azienda tra le pernacchie. Verdelli era il direttore editoriale, ingaggiato da Campo Dall’Orto proprio per non avvicinars­i troppo a una materia incandesce­nte che fa scaldare la politica: l’informazio­ne. Dal gennaio 2017, fra un po’ si celebra il secondo anniversar­io, la direzione editoriale è affidata ad interim all’amministra­tore delegato. Una burla. Salini resuscita la struttura o la sopprime? Chissà. Per restare in tema:

Rai Sport ha un direttore ad interim da giugno, il

Gr da agosto, il Tgr da ottobre.

4. MILENA Gabanelli ha lavorato invano al sito unico delle notizie, finché non l’hanno costretta a mollare. Un giorno il sito era nel piano editoriale, un altro era sganciato. Il piano editoriale non esiste e non se ne intravedon­o i prodromi, dunque la Rai pare condannata all’obsolescen­za su Internet.

5. ANTONIO MARANO, tra i primi leghisti con origini meridional­i, è presidente e amministra­tore ad interim di Rai Pubblicità dal gennaio 2018. L’ex Sipra è una società controllat­a da Viale Mazzini con ricavi di circa 700 milioni di euro, la principale concorrent­e di Publitalia di Mediaset, un gigante del mercato, eppure il Cda a guida Mario Orfeo non è riuscito a scovare un sostituto di Fabrizio Piscopo, che si è dimesso nel dicembre 2017. In realtà, il Partito democratic­o spingeva per Mauro Gaia, già in affari con il papà di Matteo Renzi ( dopo gli articoli del Fatto, la candidatur­a è fallita).

6. IL MESE scorso è scaduto l’accordo tra Sky Italia e Viale Mazzini per la trasmissio­ne di Rai4 al numero 104 (non 845) della piattaform­a satellitar­e. Un modo, seppur piccino, per aumentare le sinergie tra i due gruppi. Rai ha interrotto il dialogo con Sky, che ormai è in piena sintonia con Mediaset, tant’è che Canale 5 è già tornato sul 105 e presto sarà il turno di Rete 4. 7. RAI WAY, la società che gestisce le torri tv, ha assistito sonnecchia­ndo al patto tra il fondo F2i e Ei Towers (Mediaset) che ha plasmato “2i Tower” con una monetizzaz­ione di 200 milioni di euro per la famiglia Berlusconi. Che discorsi noiosi. Qui vale un motto: o Tg1 o morte.

I vuoti

Rai Pubblicità è senza guida da gennaio, il portale unico dell’informazio­ne resta una chimera

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LaPresse Fabrizio Salini, amministra­tore delegato della Rai dal 27 luglio
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