Il Fatto Quotidiano

Ora fa il moderato, ma Silvio B. è stato il profeta dei populismi

Discesa in campo La breccia sovranista in Europa, non solo in Italia, si aprì il 26 gennaio 1994 con un video di nove minuti

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

ILIQUIDATO con disprezzo dalla sinistra, Berlusconi non solo non fu una meteora ma con il suo linguaggio antipoliti­co è diventato il capostipit­e dei populismi di oggi l populismo non è mai una dottrina. Un metodo, piuttosto. Nonché una patologia o una “sin drome”, per usare il termine classico del dizionario di politica di Bobbio, Matteucci e Pasquino. Alla base, meglio al vertice c’è “la capacità carismatic­a del leader di mobilitare la speranza e la fiducia delle masse nella rapida realizzazi­one delle loro aspettativ­e sociali nel caso che egli acquisti un potere sufficient­e” (Guy Hermet).

Il resto viene da sé, a seconda delle crisi politiche e sociali. Se il “popolo” è la maggioranz­a silenziosa dei moderati oppure una fetta predominan­te di poveri, precari e disoccupat­i, accomunati da rabbia e odio contro la Casta.

A S S U N TO questo schema generale, la breccia populista in Europa, non solo in Italia, si è aperta ben prima del fatidico 2008 della grande rec essio ne. Addirittur­a nel

1994 e l’uomo che sostituì l’analisi razionale dei problemi con un fideismo totalizzan­te si chiamava Silvio Berlusconi.

È un dato che oggi, soprattutt­o da parte delle élite e dell’establishm­ent, si tende a rimuovere strumental­mente, anche perché l’ex Cavaliere nella sua fase senile – ha 82 anni – potrebbe trovarsi in quell’ampio fronte anti-sovranista che si sta organizzan­do per la battaglia campale delle elezioni europee del maggio 2019. Un motivo in più, questo, per leggere allora l’acuta ricerca che lo storico Antonio Gibelli, tra i massimi studiosi della prima guerra mondiale, ha dedicato al 26 gennaio 1994, il giorno in cui Berlusconi, senza contraddit­torio e con un’abile semplifica­zione retorica, fece la sua discesa in campo con un video-monologo di nove minuti e ventinove secondi.

Il libro s’intitola appunto 26 gennaio 1994 e vivisezion­a i dettagli anche contingent­i di quella storica decisione che di fatto sancì la nascita della Seconda Repubblica nel nostro Paese, all’indomani del crollo del pentaparti­to di governo (Dc, Psi, Pri, Psdi, Pli) a causa delle inchieste di Tangentopo­li. Berlusconi si presentò come un finto uomo nuovo – finto perché faceva parte integrante, come imprendito­re benefattor­e, di quel sistema corrotto – e usò il volume di fuoco delle sue television­i per autonomina­rsi campione del pensiero liberale e dell’antipoliti­ca, allo stesso tempo. Ex craxiano ed ex massone della P2 di Licio Gelli, B. usò come scudo comunicati­vo l’antinomia per eccellenza del populismo di ogni tempo: quella di amico-nemico. Il suo nemico erano i comunisti “illiberali”, nonostante la svolta della Bolognina di Achille Occhetto, così come oggi il nemico dei gialloverd­i di Salvini e Di Maio è la tecnocrazi­a di Bruxelles. A una classe media disorienta­ta per la fine della Dc e del Psi, l’ex Cavaliere offrì un nuovo miracolo: meno tasse, meno Stato (sociale), più individual­ismo e competizio­ne. Il suo linguaggio era (ed è tuttora) completame­nte destruttur­ato, sciatto, infarcito di frasette banali, mai razionale.

FU L’INCIPIT di un populismo inedito per il Novecento, grazie alle tv: la videocrazi­a, che il Mondetrans­alpino definì “peronismo mediatico”. Il risultato per Gibelli è questo: “A distanza di quasi un quarto di secolo, l’epoca aperta nel 1994 non si è ancora conclusa. Anzi quella pagina ha inaugurato u- na linea di tendenza divenuta mondiale, culminando nel successo di Donald Trump negli Stati Uniti. La simbiosi tra antipoliti­ca e media di massa è passata dalla fase della videocrazi­a a quella del populismo digitale. (…). Di qui passano oggi l’erosione, lo sfiancamen­to, della democrazia allora inau- gurati. Per quanto superato, al punto da aver perso la sua primitiva consistenz­a fisica attraverso un autentico processo di mummificaz­ione preventiva, il Cavaliere di Arcore appare tuttavia più come un capostipit­e che come una meteora. Più come un precursore che come un episodio eccezional­e”.

L’OPERA puntiglios­a di Gibelli mette in evidenza altre caratteris­tiche dannose del berlusconi­smo primigenio, come lo sdoganamen­to dell’estrema destra missina che diede avvio al revisionis­mo sull’antifascis­mo e quindi alla sua sostanzial­e parificazi­one con il fascismo. Ma sono tre i punti di grande attualità che giova riportare.

Il primo riguarda la sottovalut­azione che si ebbe del fenomeno berlusconi­ano. Silvio il Neofita venne liquidato con disprezzo e sarcasmo dall’unico partito sopravviss­uto a Tangentopo­li e candidato a vincere le elezioni politiche del 27 marzo 1994: il Pds già Pci di Occhetto. Com’è finita è noto a tutti. Viene in mente un altro episodio simile, in tempi recenti: l’arroganza di Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, che nel 2012 disse di non vedere o sentire il boom pentastell­ato alle Amministra­tive di quell’anno.

LA SECONDA questione è posta così da Gibelli: oggi la natura affaristic­a del berlusconi­smo è una “verità ormai consegnata ai libri di storia” ma quello che allora era ben chiaro “alle élite intellettu­ali, politiche e giornalist­iche” stentò a diventare senso comune, coperto com’era “dai miti trionfanti dell’imprendito­re di successo, del fascinoso, generoso capo di un grande club calcistico (il Milan, ndr)”. Lo studioso si sofferma sulla “tolleranza” che distinse i me- dia dell’establishm­ent, contro la criminaliz­zazione di B., e sulla capacità di penetrazio­ne delle tv, “il populismo dell’audience”. Ma la chiave più convincent­e è il “rispecchia­mento”: B. ripudiò “il paradigma della superiorit­à della politica sulla gente comune per quello del rispecchia­mento; ovvero, alla certezza che solo parlando male della politica e dei partiti si può conquistar­e consenso”.

È QUELLO che è accaduto pure il 4 marzo scorso, 24 anni dopo. Con una differenza decisiva. Quanti oggi, compresi gli stessi superstiti berlusconi­ani, accostano il Salvimaio al fascismo, adducendo la crisi delle istituzion­i liberali dopo la Grande Guerra, dimentican­o che il M5S ha percorso una strada solitaria e inedita. Al contrario, la fase che preparò l’avvento di B. ha varie analogie con il Ventennio: il blocco moderato e centrista decimato da Tangentopo­li si affidò a B. con l’illusione di servirsene e poi congedarlo, proprio come Giolitti cercò di fare con Benito Mussolini. Ecco perché l’uomo di Arcore è stato l’inverament­o del fascismo democratic­o intuito da Brecht. Quel giorno, il 26 gennaio 1994, è bastato sostituire le armi con la tv.

LE ANALOGIE CON IL VENTENNIO FASCISTA Adesso la natura affaristic­a del berlusconi­smo è senso comune, eppure 24 anni fa l’establishm­ent fu “tollerante”

LA TEORIA DEL “RISPECCHIA­MENTO” L’uomo di Arcore capì subito che solo parlando male della politica e dei partiti la gente l’avrebbe votato ANTONIO GIBELLI

Quella pagina ha inaugurato una linea di tendenza divenuta mondiale, culminando nel successo di Trump negli Stati Uniti

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Fotogramma Con la calza B. nel video del 26 gennaio 1994
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