Il Fatto Quotidiano

“Ci hanno rovinato quei carabinier­i, ora ridateci la dignità”

Nicola Minichini Uno degli agenti di polizia penitenzia­ria accusato e poi assolto nel primo processo per la morte di Cucchi: “Hanno mentito per anni”

- » SILVIA D’ONGHIA

“Noi non vogliamo ringraziam­enti o scuse, vogliamo che ci venga restituita la dignità”. Nicola Minichini è uno dei tre agenti della Polizia penitenzia­ria protagonis­ti, loro malgrado, del primo processo per la morte di Stefano Cucchi. Assolti per insufficie­nza di prove, “danneggiat­i a vita, un marchio infame che nessun risarcimen­to ora ci toglierà”. Oggi i tre sono parte offesa nel secondo processo in corso nei confronti dei cinque carabinier­i accusati, a vario titolo, di omicidio preterinte­nzionale, falso e calunnia. Minichini, chi le deve restituire la dignità?

Tutti. Lo Stato, la Procura, la famiglia Cucchi, l’opinione pubblica.

Allora andiamo per gradi. Ci spiega intanto come sta vivendo?

Provo rabbia, anzi collera. Sono giorni che vago per il quartiere, da quando il sostituto procurator­e Giovanni Musarò ha letto in aula le dichiarazi­oni del carabinier­e Francesco Tedesco, che adesso accusa i suoi colleghi di aver picchiato Cucchi. Questi per anni sono stati zitti, hanno falsificat­o prove, mentito ai magistrati. E hanno assistito senza fare nulla a un processo a carico di tre innocenti. E poi ci sono gli altri. Quelli che sapevano e hanno taciuto. Hanno fatto sembrare noi i sanguinari e loro Santa Maria Goretti. Per qualcosa che, stando all’accusa, hanno commesso loro, abbiamo rischiato di essere condannati noi, di perdere tutto. Dove erano mentre io combattevo per la mia dignità, per la libertà?

La libertà?

Il lavoro, la casa, la famiglia. Tutto. Sono grato a mia moglie, che ha sopportato, e al mio funziona- rio di allora, che mi fece trasferire prima che potessero sospenderm­i. Altrimenti senza stipendio non avrei potuto pagare neanche il mutuo. E i miei figli come avrebbero fatto?

Cos’ha detto ai suoi figli?

Ho dovuto cambiare scuola al più grande: i compagni continuava­no a dirgli che suo padre era un assassino. Io sono una persona corretta, vivo nel rispetto delle regole, non ho mai preso una multa. Ma lei se lo immagina cosa significa essere additato come un sadico, uno squartator­e?

Addirittur­a?

Le persone, vedendo le foto di Cucchi, spesso non realizzava­no che fosse sul tavolo dell’obitorio dopo l’autopsia: ci hanno accusati di avergli tagliato il torace, di avergli cavato gli occhi, di aver- gli spento le sigarette addosso. A parte gli amici e i colleghi più stretti, a parte il mio avvocato, Diego Perugini, cui devo tutto, intorno a me per nove anni sono stati solo silenzio o insulti. Adesso, però, i colpevoli non siete più voi.

Crede che un eventuale risarcimen­to possa ripagarmi di quanto ho subìto? Il problema è che nessuno ha avuto un pensiero per noi, nessuno ha detto: ‘Guarda quei poveretti che sono andati al macello al posto di altri’. Nei confronti della famiglia Cucchi non ho nulla da recriminar­e, hanno perso un figlio o un fratello e cercano giustizia. Ma perché adesso non spendere una parola di solidariet­à nei nostri confronti? Si parla di testimoni che subiscono pressioni e minacce. E io? Non dovrebbero dimenticar­e che è anche grazie alle nostre lotte – inizialmen­te contro tutto e tutti – che ora si può guardare alla giustizia.

Torniamo al 2009. Lei è ancora convinto di aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto, nel momento in cui ha preso in consegna il ragazzo nelle celle del Tribunale di Roma?

Senta, io ho chiamato il medico perché Cucchi mi disse di avere mal di testa. Voleva una pastiglia e non ero certo io a potergliel­a dare. L’ho avuto in custodia 45 minuti.

Però, a parte la testa, arrivò che zoppicava…

Camminava da solo. Era magro. Ma io non l’ho perquisito e ho potuto vedere solo i segni sul viso: ce ne sono tanti che arrivano così.

Ci sta dicendo che tanti vengono picchiati durante l’arresto? No. Ho visto persone ingessate perché cadute, investite durante un tentativo di fuga, arrestate nel corso di una rissa. Noi non sappiamo cosa è accaduto prima che entrino in carcere. Cucchi si vedeva che non stava bene, ma purtroppo capita spesso di vedere persone sofferenti.

Minichini, ancora una cosa: la Procura di Roma le deve chiedere scusa?

Ma scherziamo? Sono grato al Procurator­e Giuseppe Pignatone e al pm Musarò, perché hanno il coraggio e la volontà di andare fino in fondo. I pm Vincenzo Barba e Francesca Loy (che hanno rappresent­ato l’accusa nel primo processo, ndr) secondo lei meritano la mia gratitudin­e? Posso dire che hanno svolto il loro lavoro egregiamen­te? La risposta è negli atti.

Mi hanno additato come torturator­e. I pm che ci indagarono all’inizio hanno svolto bene il loro lavoro? La risposta è negli atti

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