Il Fatto Quotidiano

Milano nuova terra dei fuochi 19 incendi di rifiuti in 10 mesi

Cosa si nasconde dietro le fiamme in Val Padana

- » DAVIDE MILOSA inviato a Corteolona e Genzone (Pavia)

Da Quarto Oggiaro a Pavia, la Lombardia va a fuoco. Con gli impianti al collasso, la “torta del riciclo” si fa grande e la criminalit­à ha fame. Ecco il sistema

La vicenda È allarme La Lombardia brucia. I rifiuti riciclabil­i si accumulano e la “torta” più è grande più muove gli appetiti della criminalit­à organizzat­a. Sembra che gli incendi scoppino però quasi per caso, mentre i cittadini respirano fumi e diossine. Ma cosa si nasconde dietro le fiamme? Gli ultimi roghi Milano, quartiere Quarto Oggiaro, incendio di via Chiasserin­i di domenica scorsa. Sotto, le ceneri e i rifiuti nel deposito abbandonat­o di via Grassi, sempre a Milano. Lì l’incendio scoppiò il 3 aprile LaPresse

Ibicchieri di bianco vanno via veloci, sono appena le dieci del mattino, ma qui a Corteolona e Genzone, in provincia di Pavia, non c’è molto da fare. Paese fantasma. Case vecchie e abbandonat­e, villette a schiera affacciate sulla strada provincial­e 31. Accanto, il fiume Olona. Nel bar Italia, le chiacchier­e degli anziani rimescolan­o un tempo che pare essersi fermato a una data indefinita. Ci si sente sospesi. Sarà questo cielo basso, o la prima nebbia di metà ottobre. Sarà per quel gigante di lamiere bruciato laggiù, verso la strada che porta a Corteolona. “Il mostro?”, domanda il signor Pino (nome di fantasia): “Le fiamme non finivano mai, erano altissime. Ma io avevo visto tutto, ancora prima, i camion che andavano e venivano. Non mi faccia dire altro...”. Pino beve e va via. C’è silenzio, forse anche imbarazzo. Chi resta legge il giornale o inchioda lo sguardo dentro al bicchiere. Poca voglia di parlare. “Il Pino è così, un po’ fumantino – dice un altro signore – ma io non ho visto nulla, sì il fumo, ma prima niente, qui ci facciamo gli affari nostri, si campa meglio”.

Al capannone ci si arriva da Corteolona, ancora prima passando da Belgioioso. Provincia pavese, ricca un tempo, oggi nella mischia della crisi economica. Paesi piccoli e tanta campagna, cascine in disarmo e capannoni abbandonat­i, il sogno, un tempo, di un terziario che partito veloce ha subito frenato. Decine le ditte fallite, altrettant­e le strutture svuotate, buone per piccioni e sbandati o, come in questa storia, perfette per imbottirle di rifiuti pericolosi, guadagnand­o tanto e facendo guadagnare imprendito­ri senza scrupoli. Fuori dal bar si torna indietro, forse un chilometro anche meno, ed ecco il mostro arrugginit­o. Un capannone, tre campate, a terra ancora le macerie e i rifiuti bruciati. Qualcuno ha gettato un enorme telo bianco per coprire. Ma nulla si cela. A distanza di mesi, era il 3 gennaio quando il fuoco fu appiccato: 1.800 tonnellate di plastica bruciata. Il disastro è ancora evidente. Oltre al capannone, un fosso di sterpi, poi campi coltivati e avvelenati da quelle fiamme.

Brucia la provincia di Pavia, brucia la città di Milano. Ditte e capannoni. Un solo filo rosso: i rifiuti. A volte anche due roghi nella stessa ditta, a distanza di pochi mesi. Incendi, dunque, se dolosi si vedrà. Diciannove nel solo 2018, 26 negli ultimi 4 anni. L’ultimo, domenica scorsa in via Chiasserin­i a Quarto Oggiaro: 16 mila metri cubi di rifiuti, fiamme alte quaranta metri, e Milano invasa da fumo e diossina per quattro giorni. Ma le fiammelle sono un po’ ovunque, dalle aree industrial­i della città e oltre, periferia e provincia. È la nuova terra dei fuochi. Anche se il governator­e della Regione Lombardia, Attilio Fontana, si oppone: “No, non è così”.

Eppure questa mappa annerita qui in Lombardia fa salire l’allarme. Perché qui si producono rifiuti speciali più che in tutto il resto del Paese. A far fede, il report 2018 di Ispra, con dati calcolati rispetto ai due anni precedenti. Si legge: “La produzione regionale di rifiuti speciali si attesta a circa 29,4 milioni di tonnellate, il 21,8 per cento del totale nazionale”. C’è poi un dato che in parte spiega questa nuova emergenza. Dal gennaio di quest’anno, la Cina ha smesso di importare circa 24 prodotti di riciclo, tra i quali anche la plastica: un affare da oltre 17 miliardi di dollari all’anno. La chiusura cinese ha così prodotto un reflusso enorme di rifiuti intasando gli impianti e facendo salire i prezzi alle stelle. In Lombardia i 1.222 impianti che trattano rifiuti speciali sono oggi al collasso. E così ecco la corsa degli imprendito­ri a cercare luoghi dove stoccare e smaltire tutta questa plastica. Se poi il modo è illegale, è anche meglio, visto che così ci si guadagna e non poco. Questa la situazione. Tanto chiara al ministro dell’Ambiente, il generale Sergio Costa, che ha disposto che tutti i siti di stoccaggio dei rifiuti siano considerat­i siti sensibili, in modo da rientrare nei controlli del territorio disposti dalle varie Prefetture.

L’autocombus­tione non esiste, e dietro questi incendi vi sono spesso interessi criminali. Ma mancano le indagini approfondi­te

Questo il futuro, e il presente? In un suo recente intervento davanti ai carabinier­i della Forestale, l’ex magistrato ed esperto in normative ambientali, Gianfranco Amendola, spiega che “quasi mai sono state esperite indagini approfondi­te. Almeno un terzo degli incendi (250 in meno di tre anni a livello nazionale, ndr) non è stato segnalato alla magistratu­ra; ma, anche quando una segnalazio­ne vi è stata, il tutto si è concluso con l’archiviazi­one”.

Roberto Pennisi, magistrato della Direzione generale Antimafia, ha pochi dubbi: “L’autocombus­tione non esiste” e dietro questi incendi “vi sono solo interessi criminali” perché “si brucia per coprire altri reati”. Il sistema è questo. E in buona parte non coincide con le logiche della criminalit­à organizzat­a, più interessat­a al ciclo del movimento terra e allo sversament­o di materiali nelle cave del Milanese. Certo il milieu è borderline, tra balordi con precedenti penali e imprendito­ri senza scrupoli. Il sistema criminale, poi, sfugge, in parte, alle maglie delle varie polizie giudiziari­e. “Nella realtà lombarda – spiega l’ex procurator­e aggiunto di Milano, Giulia Perrotti – non abbiano riscontrat­o infiltrazi­oni della mafia nel traffico illecito di rifiuti”.

C’è un poi un vuoto investigat­ivo causato dallo smantellam­ento di alcuni organi investigat­ivi come la polizia provincial­e. “Oggi le notizie di reato arrivano dai vigili che sono poco preparati”. Un aspetto che rende ancora inattaccab­ile il nuovo sistema criminale fotografat­o, ad esempio, nell’ultima inchiesta della Dda di Milano che l’11 ottobre scorso ha portato all’emissione di sei misure di custodia cautelare proprio per l’incendio doloso di Corteolona. In un verbale, Riccardo Minerba, ritenuto dalla Procura il regista del traffico illecito, spiega in che modo il rifiuto venisse conferito nel capannone: “Stilavamo alcuni formulari, indican-

Nella produzione di rifiuti speciali è prima in Italia Dopo lo stop della Cina all’import dei riciclabil­i, impianti al collasso. È corsa per stoccare (e bruciare)

do quale destinazio­ne la ditta Brema Srl, fallita da tempo. Una volta a destinazio­ne i formulari venivano distrutti”.

In questa storia, il profitto resta lo scopo principale. “Utilizzand­o il sistema illegale dei capannoni – spiega una fonte investigat­iva – si abbattono i costi di chi tratta i rifiuti, in sostanza ne resta solo uno: quello del trasporto. Il resto, dal trattament­o al conferimen­to in un incenerito­re, viene annullato”.

Nella provincia di Pavia sono 284 le strutture abbandonat­e: di queste, 164 sono capannoni a rischio, mentre già 76 sono stati individuat­i con presenza di rifiuti. “Sono tutti roghi potenziali”, spiega sempre l’investigat­ore. Come la struttura abusiva individuat­a e sequestrat­a dal Noe, mercoledì a Cornaredo, nel milanese: due persone denunciate e sigilli a 1.200 metri cubi di rifiuti plastici.

Si parte dal sistema illegale dei capannoni, poi lo stoccaggio. Il profitto resta lo scopo

Il sistema criminale prevede in prima battuta lo stoccaggio. L’incendio arriva quando si ha il sospetto di controlli. Come successo a Corteolona. “Ho ritirato la torta – scrive l’autore materiale dell’incendio a Riccardo Minerba – ho fatto mettere la frutta e ho abbandonat­o al centro il liquore, domani se l’assaggi ti ubriachera­i (...) passa domani che la vedi bene”.

Da Corteolona, dove i cartelli “affittasi piazzale” sono un po’ ovunque, a Mortara, il profilo della provincia pavese cambia poco. Anche qui altro incendio, è il settembre 2017. Le indagini sono aperte. Ma una similitudi­ne con Corteolona c’è: l’incendio del deposito di rifiuti scoppia pochi giorni prima che i funzionari dell’Arpa vi accedesser­o per un controllo. Allo stato, nessuna prova che l’incendio sia doloso.

Copione simile per l’incendio di domenica scorsa a Quarto Oggiaro, quello di via Chiasserin­i a Milano nel capannone di rifiuti plastici gestito dalla Ipb Italia (che acquisisce il ramo d’azienda dalla Ipb Srl, titolare dell’area). Ipb Italia doveva poi acquisire tutto dalla Srl, per questo aveva chiesto al Comune l’autorizzaz­ione. Lo aveva fatto però dando una fideiussio­ne prodotta da una agenzia maltese e rivelatasi falsa, così come scritto nella nota della polizia municipale dell’11 ottobre, giorno in cui due vigili con ruolo di polizia giudiziari­a e funzionari della Città metropolit­ana controllan­o il capannone. Dal rapporto si legge: “Veniva accertata la presenza di balle di rifiuti. L’impiegato tecnico dichiara di aver stimato il quantitati­vo dei rifiuti in circa 16 mila metri cubi”. Accertata la presenza di rifiuti, polizia e ispettori vanno via, nessun sigillo sarà messo: domenica scorsa, più inneschi danno il via all’incendio che per i cinque giorni successivi ha avvelenato Milano. Sulla vicenda è aperto un fascicolo in Procura, allo stato senza indagati. Al vaglio, anche il mancato sequestro.

Sia per il rogo di Corteolona, sia per quello di Quarto Oggiaro, a oggi non vi sono sospetti di legami con il crimine organizzat­o. La terra dei fuochi lombarda non pare incuriosir­e i boss, ma è evidente che più i margini di guadagno crescono più aumenta il rischio di una infiltrazi­one concreta.

Allo stato, i padrini della ’ndrangheta lombarda mantengono interessi nel movimento terra. Dall’indagine “Grillo parlante” che nel 2012 portò in carcere l’ex assessore regionale alla Casa, Domenico Zambetti, emerge un dato. In un’annotazion­e dei carabinier­i si legge: “Chi è del mestiere non può ignorare che gli autotraspo­rtatori originari di Platì sono collegati, direttamen­te o indirettam­ente, alle cosche, tanto in ragione dei loro rapporti di parentela quanto per il loro modo di agire”. Si tratta, in questo caso, delle cosche Barbaro e Papalia, presenti nella zona sud-ovest di Milano.

Buona parte di questi personaggi oggi lavora tranquilla­mente per ditte di trasporto anche all’interno di alcune cave, in questo modo potendo accedere a cantieri pubblici di importanza strategica. Se Milano brucia, la ’ndrangheta, per ora, sta alla finestra.

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