È ora di rimettere il trattino fra centro e sinistra
“Se la democrazia esiste, se non è un puro interregno, si può dire che la sua condizione naturale di vita sia la crisi” (dalla prefazione di Sergio Corduas in “La crisi della democrazia” di Josef Ludvìk Fischer – Einaudi, 1997 – pag. VII)
Nel solco della migliore tradizione del cerchiobottismo italico, riaffiora una corrente di pensiero ( debole) che, come un fiume carsico, ripropone una vecchia polemica già di moda ai tempi di Silvio Berlusconi. Quante volte ci siamo sentiti dire, noi giornalisti all’opposizione del “regime televisivo”, che così facevamo il gioco di Sua Emittenza? E che, criticandolo e attaccandolo, in effetti finivamo per favorirlo? Ma, a parte il fatto che l’esercizio della critica prescinde dagli opportunismi e dalle convenienze, chissà quant’altro tempo sarebbe durato il berlusconismo e quanti altri danni avrebbe provocato se non avesse trovato un argine al suo straripamento.
Ora la storia si ripete nei confronti del governo giallo-verde, afflitto dalle contraddizioni interne esplose clamorosamente sulla controversa questione del condono fiscale. Non è un caso che oggi il “pensiero debole” si concentri sulla figura emergente di Matteo Salvini, il leader della Lega che è stata alleata di Berlusconi nel fatidico ventennio e fino alle ultime elezioni politiche del marzo scorso, quando s’è ripresentata agli elettori nella coalizione di centrodestra. Se “la politica non è che la continuazione della guerra con altri mezzi”, come sosteneva il generale prussiano Carlo von Clausewitz, si potrebbe anche dire che di questo passo il governo a trazione leghista rischia di diventare la continuazione del berlusconismo.
COME DOVREBBERO comportarsi, allora, i giornali e gli altri mezzi di comunicazione nei confronti di Rambo Salvini? Decretare un black-out? Un silenzio stampa, per occultare le sue “sparate” pressoché quotidiane e non fare così il suo gioco?
In realtà, il problema non è tanto il “chiasso” di Salvini quanto il “silenzio” dei suoi oppositori. Di tutti coloro che, dall’interno o dall’esterno, non hanno avuto finora la forza o il coraggio di contrastare l’impeto del capo leghista. Diciamo “silenzio” per dire arrendevolezza, acquiescenza o addirittura subalternità. Tant’è che, contraddittoriamente, gli stessi corifei del “pensiero debole” tendono a sentenziare che non c’è opposizione per incolparne soprattutto il Pd. E si sa che una democrazia, senza opposizione, rischia di andare in crisi e di trasformarsi in un regime o in una “democratura”.
Che cosa può fare, dunque, in questa situazione il centrosinistra (superstite) che a suo tempo il bipolarismo contrapponeva al centrodestra? Escludendo che possa rinunciare a criticare la maggioranza quando a torto o a ragione lo ritiene opportuno, potrebbe cominciare intanto sul piano mediatico a rimettere il fantomatico trattino fra il centro e la sinistra. E cioè a distinguere le sue due componenti: innanzitutto, per riequilibrare i rapporti di forza reciproci, sbilanciati dall’identificazione fra premiership e leadershipsancita nello Statuto del Pd; e poi, per offrire un’alternativa più praticabile e credibile all’elettorato progressista.
Non basta certamente un trattino per fare una coalizione né tantomeno una cultura di governo. Ma, nell’assetto ormai tripolare del nostro sistema politico, forse quel segno di punteggiatura potrebbe restituire alla sinistra un pezzo dell’identità perduta, accrescendo il suo potere contrattuale nei confronti dei moderati liberal-democratici o eventualmente della parte più avanzata dei Cinquestelle. Tre poli, insomma, tre forni.