Il Fatto Quotidiano

La guerra delle microdighe Stop alla centralina selvaggia

Fiumi e torrenti Il governo vorrebbe eliminare gli incentivi alla realizzazi­one di piccoli impianti idroelettr­ici, ma i progetti approvati sono già centinaia

- » FERRUCCIO SANSA

Il destino dei torrenti di montagna si gioca in poche righe. È la battaglia delle mille dighe. Nelle pieghe del decreto sulle energie rinnovabil­i si nasconde uno scontro che può cambiare il paesaggio di Alpi e Appennini. E la destinazio­ne di miliardi di incentivi. La norma, nelle intenzioni del governo, dovrebbe chiudere i rubinetti degli incentivi a pioggia finora erogati ai produttori di centraline idroelettr­iche: “D ighe, briglie, condotte. Sono impianti che producono appena il 2 per mille dell’energia italiana, ma arrivano a prendere 1,2 miliardi l’anno di incentivi ( 2 4 m i l i a r d i i n vent’anni contando la durata della concession­e). Producono più incentivi ai privati che energia”, sostiene Lucia Ruffato dell’associazio­ne ambientali­sta Free Rivers. Opposta la posizione dei produttori: “Rischia di morire un settore industrial­e. Sarebbe la disfatta delle imprese che si sono specializz­ate dando vita a una filiera tutta italiana”, ribatte Paolo Taglioli direttore di Assoidroel­ettrica.

SARANNO AMMESSE quelle che utilizzano canali artificial­i, condotte esistenti o scarichi. “Abbiamo previsto limitazion­i visto l’impatto ambientale delle installazi­oni. Negli ultimi anni, grazie alle autorizzaz­ioni rilasciate da Regioni e Province, sono proliferat­e centraline che hanno preoccupat­o gli abitanti. E prodotto poca energia”, spiega il sottosegre­tario allo Sviluppo economico, Daniele Crippa (M5S).

Roger De Menech (deputato Pd) da anni segue la battaglia lanciata dall’ex presidente della Provincia di Belluno, Sergio Reolon, morto l’anno scorso: “Nel rimpallo di competenze tra Stato e Regioni si era creata una giungla. Bastava un salto d’acqua dei torrenti e i privati chiedevano di fare una centralina. Alla fine è intervenut­a l’Ue con una procedura di pre-infrazione. Ora vedremo se e quando il decreto arriverà in commission­e”. Le centraline già approvate – centinaia – non si possono fermare. Ma altri mille impianti sarebbero stoppati. Per capire cosa c’è in gioco bisogna andare sulle Alpi. Arrampicar­si per le valli del Bellunese. Ovunque è un fiorire di dighe e condotte, fiumi e torrenti scompaiono nel nulla. Il Piave in certi tratti è solo un nome: dei 3,5 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno ne resta un decimo. Il resto va nelle dighe. Per 227 chilometri di corso se ne contano 200 di condutture. Impianti idroelettr­ici e canali cancellano anche la biodiversi­tà, cioè piante e animali.

Oggi, però, la trincea è un’altra: le centraline. Quelle che sorgono sui torrenti. Basta andare sul Talagona, in una valle dove per secoli non ci sono stati altro che boschi, pascoli. E una malga. “Nel 2013 è arrivato il progetto per uno sbarrament­o di cemento lungo 22 metri e alto due e mezzo. Poi c’è la condotta forzata che per 3 chilometri (su 6 del torrente) preleva 945 litri d’acqua al secondo. In pratica per undici mesi l’anno il Talagona resta con il 20% delle acque”, racconta Ruffato. Ma il punto è anche un altro: “Con 6 milioni di investimen­to la società potrebbe incassarne, lecitament­e, 34 di incentivi”. Ancora Ruffato: “Tra 2009 e 2013 gli impianti di potenza sotto 1 Megawatt sono cresciuti del 53% (da 1.270 a 1.943), ma con un aumento di potenza dello 0,8% sul totale dell’idroelettr ico ”. Il record dei nuovi progetti fino a l 2 0 1 4 spettava al Nord: Lombardia (391), poi Trentino Alto Adige ( 360) e Piemonte (215). Anche Legambient­e è scesa in campo contro il mini-idroelettr­ico. Racconta il vicepresid­ente Edoardo Zanchini: “Lo sfruttamen­to dell’acqua per la produzione di energia elettrica nei decenni ha permesso di soddisfare una consistent­e parte dei fabbisogni elettrici degli italiani (circa l’80%, fino agli anni 60). Più del 70% della potenza installata è costituita da impianti grandi in esercizio prima degli anni 70. Le installazi­oni degli ultimi anni – prosegue Zanchini – sono quasi tutte minidighe con potenza inferiore a 1 Megawatt. Tra nuove centraline e progetti in attesa di approvazio­ne parliamo di altri 3 mila km di acqua derivata”.

Il grande malato

Il Piave in certi tratti non c’è più: dei 3,5 mld di mq d’acqua l’anno ne resta un decimo I numeri

LE DIGHE dividono la maggioranz­a. Mentre il M5S sostiene i tagli, la Lega guida le Regioni del Nord che hanno spalancato le porte alle micro-centrali. Le concession­i rimpinguan­o le casse degli enti locali.

Ma nell’id r o e l et t r i c o hanno investito anche nomi noti a cavallo tra industria e politica. Come Chicco Testa (Pd), ex presidente di Legambient­e poi alla guida dell’Enel e infine paladino del nucleare: la società Valsabbia, di cui è presidente, ha realizzato nel Bellunese una diga sul torrente Mis, alle porte del parco naturale. Un impianto terminato, ma bloccato dalle autorità. Anche Paolo Scaroni, ex numero uno dell’Enel, si era buttato nel mini-idroelettr­ico.

Il destino dei torrenti non si gioca in montagna, ma nei palazzi di Roma.

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LaPresse La diga di Chicco Sopra, la diga sul torrente Mis, in Trentino, realizzata da una società guidata da Chicco Testa. A sinistra, il Piave in secca a Ponte della Priula (Treviso)
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