Il Fatto Quotidiano

Tiziano, i fatti che nessuno può smentire

Dai rapporti con il re degli outlet ai fondi garantiti dalla Regione per la società di famiglia

- » DAVIDE VECCHI

Doveva esserci anche Matteo Renzi, con papà Tiziano, a pranzo nella masseria Buca Due di Fasano, ma l’allora premier all’ultimo preferì volare a New York per la finale degli Us Open. Era il 12 settembre 2015. Il gruppetto di amici del papà che lo aspettava aveva già avuto modo di incontrarl­o il 17 giugno a Palazzo Chigi, dove era arrivato per essere ricevuto da Luca Lotti, all’epoca sottosegre­tario alla Presidenza. Organizzat­ore: Luigi Dagostino, amico e socio dei genitori dell'allora premier, arrestato nel giugno scorso per un giro di fatture false nell'ambito dei progetti per l’outlet The Mall di Reggello. Tra queste fatture, anche due emesse nel 2015 per 160 mila euro che hanno fruttato a Dagostino un rinvio a giudizio insieme ai suoi due amici Tiziano Renzi e Laura Bovoli: i due non avrebbero fornito un servizio proporzion­ato alla somma richiesta. Lo stesso Dagostino, intercetta­to, si sfoga: “Lo so benissimo che questo è un lavoro che valeva al massimo 50, 60, 70 mila euro; ma se tu me ne chiedi 130 e sei il padre del presidente del Consiglio mi posso mica mettere a discutere?”. Il processo inizierà il 4 marzo 2019.

Prima di allora si chiuderà un'altra vicenda che vede i due Renzi sovrappost­i, complement­ari. Quella di Consip. Anche qui c'è di mezzo un imprendito­re, Alfredo Romeo, poi arrestato per corruzione. E anche qui il genitore si ope- ra, briga nell'ombra della posizione di potere del figlio. Perché Romeo, secondo quanto accertato dagli inquirenti di Napoli prima e Roma poi, vuole arrivare a lui: al Renzi che siede nella stanza dei bottoni. E per arrivarci passa dal padre, usando l'amico comune, Carlo Russo, un piccolo imprendito­re e faccendier­e, legato a Renzi senior tanto da andare insieme in pellegrina­ggio a Medjugorje e fargli tenere a battesimo da padrino il figlio. Gli appalti a cui mira Romeo, secondo l'accusa, sono quelli faraonici di Consip guidata dall'allora fedelissim­o dell'ex rottamator­e, Luigi Marroni.

Scrivono il procurator­e aggiunto Paolo Ielo e il sostituto Mario Palazzi: Russo e Renzi senior “si facevano promettere” da Romeo “somme di denaro mensili” come “co mpenso per la mediazione” attuata “sfruttando relazioni esistenti tra Tiziano Renzi e Marroni, amministra­tore delegato di Consip”. Secondo le risultanze investigat­ive Romeo si incontra più volte con Russo e una, ipotizzano gli inquirenti anche con Renzi senior, probabilme­nte in un bar di Firenze nell'estate 2015. Circostanz­a sempre negata dal padre dell'ex segretario del Pd con decisione ai pm, ma con qualche incertezza al figlio. È il 2 marzo 2017, Repubblica riporta le dichiarazi­oni dell'ex tesoriere del Pd campano, Alfredo Mazzei, che racconta di una cena segreta avvenuta “in una bettola a Roma” tra Romeo, Russo e Tiziano. Il figlio, presidente del Consiglio, interroga il padre. Letto l’articolo lo chiama e i pm di Napoli registrano. Gli chiede: “È vero che hai fatto una cena con Romeo?”. Tiziano è evasivo. Annotano gli investigat­ori: “Dice di no e che le cene se le ricorda, ma i bar no”. Si rifugia in un vago “non me lo ricordo”. Ma, gli fa notare il figlio, “non è credibile che non ricordi di avere incontrato uno come Romeo”. Al momento Tiziano nel fascico- lo Consip è indagato per traffico di influenze. La sua posizione potrebbe chiudersi a breve con l'archiviazi­one. Ma rimane aperto un aspetto che bene inquadrò proprio Matteo Renzi nel 2001: “Esiste una questione morale che prescinde dall'archiviazi­one (…), non possiamo lasciare che esista il minimo dubbio sull'integr it à” del singolo. Così parlava da segretario provincial­e dei Popolari accanto al padre Tiziano, all'epoca capogruppo in Comune a Ri- gnano, invocando le dimissioni del sindaco Massimo Settimelli che non era neanche stato indagato ma guidava l'amministra­zione lambita da un'inchiesta sul piano cave poi archiviata. Erano oltre il giustizial­ismo. Le idee cambiano. Se tocca a te. Le vicende The Mall e Consip sono ancora aperte. Su altre papà Renzi è stato archiviato. Come il fascicolo per bancarotta fraudolent­a che lo ha visto indagato a Genova insieme alla moglie. I pm ipotizzaro­no che avesse svuotato della parte sana la società di famiglia, Chil Post, per poi affidarla a dei prestanome e poi portarla al fallimento con 1,5 milioni di debiti. Nella fase investigat­iva gli inquirenti hanno setacciato la storia imprendito­riale dei Renzi, fotografan­do una realtà fatta di piccole commesse, abuso del ricorso ai contratti atipici. Basti dire che il solo assunto come dirigente di una decina di aziende nate a Rignano è stato il figlio Matteo che, della Chil, era stato tra i fondatori nel 1994. Ma è stato inquadrato solo nel 2003: poche settimane prima di ufficializ­zare la candidatur­a alla guida della Provincia di Firenze con l'Ulivo. Vittoria sicura. E contributi figurativi. Le sorelle rimasero co.co.co.

Sempre da Genova emerse che Tiziano aveva ceduto le quote della società alle donne di famiglia per poter avere la garanzia a un mutuo da parte di Fidi Toscana della Regione riservato all'imprendito­ria femminile. Garanzia incassata e usata: l'azienda ha lasciato insoluti 263 mila euro, in parte onorati da Fidi Toscana e per 236 mila euro dal Fondo centrale di garanzia del ministero dello Sviluppo economico. I debiti del padre sanati dal governo del figlio. Chissà cosa intendeva il giovane Renzi quando parlava di “questione morale”.

Lo so che questo lavoro valeva al massimo 70 mila euro; ma se tu me ne chiedi 130 e sei il padre del premier...

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Ansa Il babbo Tiziano Renzi
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