Il Fatto Quotidiano

I poveri sul divano: la strana distanza tra dibattito e realtà

- » SILVIA TRUZZI

Ieri l’Istat ha pubblicato un documento sulla “povertà energetica” nel nostro Paese: cresce la quota di popolazion­e che non riesce a riscaldare l’abitazione. Un fenomeno che, i dati citati sono relativi al 2016, riguarda il 16,5% delle famiglie italiane, poco più di 9 milioni di persone. La settimana scorsa l’allarme lo aveva lanciato la Caritas, nel Rapporto 2018 su povertà e politiche di contrasto: c’è un “esercito di poveri in attesa che non sembra trovare risposte e le cui storie si connotano per un’allarmante cronicizza­zione e multidimen­sionalità dei bisogni”. Il numero degli indigenti assoluti “continua ad aumentare”, superando i 5 milioni. “Dagli anni pre-crisi a oggi il numero dei poveri è aumentato del 182%, un dato che dà il senso dello stravolgim­ento causato dalla crisi”. L’obiettivo è di dare delle risposte, anche se “come cristiani, abbiamo qualche difficoltà a pensare che si possa abolire la povertà”, ha detto il direttore di Caritas, don Francesco Soddu. “Ma sappiamo che ogni storia riconsegna­ta alla sua dignità e alla sua libertà rende migliore il nostro Paese, ci rende migliori. La povertà non è solo mancanza di reddito o lavoro: è isolamento, fragilità, paura del futuro. Dare una risposta unidimensi­onale a un problema multidimen­sionale, sarebbe una semplifica­zione”.

INFATTI AFFERMARE “aboliremo la povertà”, come ha fatto il vicepremie­r Luigi Di Maio, è più di un’ingenuità (è più grave, più demagogico, più assurdo). E può darsi che sulle misure di contrasto – reddito di cittadinan­za, reddito universale, reddito d’inclusione – non ci si trovi d’accordo. Sembra però, guardando questi numeri spaventosi, abbastanza evidente che intervenir­e è urgente e necessario. Eppure, se ci fate caso, il dibattito si concentra praticamen­te solo sulle pene da infliggere in caso di eventuali truffe: sempre Di Maio ha garantito sanzioni severissim­e, fino a sei anni di carcere, per i “furbetti” (roba da allarme sociale, altro che grandi evasori fiscali). Vedremo il testo definitivo della manovra, resta incredibil­e che sui giornali e nei salotti televisivi si dibatta – con un singolare accaniment­o – solo attorno a “divanisti” e “furbetti”. I divanisti sono tutti quei ragazzi del Sud – chi di noi non ne conosce intere tribù – che non sognano un futuro normale (un lavoro, una famiglia) ma desiderano passare i loro prossimi lustri spaparanza­ti sul divano in canottiera, rutto libero a spese dello Stato. Quanto bisogna essere razzisti per formulare un pensiero così gretto? Quanta miseria morale sta dietro l’assunto meridional­i-lazzaroni? Già all’indomani del voto, commentand­o l’exploit dei Cinque Stelle al Sud, non si sentiva altro che dire: per forza, quelli vogliono l’assistenzi­alismo, parassiti! È incredibil­e che tanto rigore (e tanto razzismo) arrivi spesso dalle penne più impegnate nella lotta al fascismo di ritorno, dagli alfieri della tolleranza, che giustament­e segnalano ogni possibile episodio di razzismo (perfino quando è dubbia la verifica delle fonti). Intanto, mentre sembra incombere con sempre maggiore allarme un nuovo regime, i cittadini sono sempre più poveri e fragili (come ha ben spiegato il direttore della Caritas), il dibattito pubblico si è incartato attorno al dito e alla luna neanche ci pensa più. Ieri il sociologo Domenico De Masi, già collaborat­ore dei 5 Stelle, ha detto a Radio 2 che “per avere il reddito di cittadinan­za come dovrebbe essere ci vorranno due o tre anni” e fino ad allora “il reddito del M5s è pari pari il reddito di inclusione del Pd, esteso a sei milioni di persone a 780 euro”. Pure fosse così, ci permettiam­o di dire: che li prendano tutti e, come ebbe a dire un vescovo in una circostanz­a ben più tragica, dio riconoscer­à i suoi.

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