Il Fatto Quotidiano

Nuovi leader: si scalda Cottarelli, vittima dell’operazione simpatia

- » ALESSANDRO ROBECCHI

Peccato che non siamo in un romanzo russo, dove per pagine e pagine si descrive in minuzia il carattere dei personaggi, sfumature, dettagli, sussulti, pieghe dell’anima. Qui si fa tutto in fretta, e per compiacere il gentile pubblico bisogna sbrigarsi. Così succede che la necessità di disegnare un mix di “carattere deciso” e “operazione simpatia” consegni politici, leader e aspiranti tali, statisti in

pectore e vecchie glorie a un’escalation comunicati­va piuttosto ridicola. Ma non importa, quel che conta è sembrare umani, empatici e simpatici, dire al pubblico: in fondo penso quello che pensate voi, sono come voi.

Delle succinte mises estive di Salvini si è detto in abbondanza, e del resto questa dell’“operazione simpatia” è roba vecchia e si può dire più o meno che la inventò Silvio buonanima.

ULTIMA PREDA di questa febbre del “sembriamo umani” parrebbe Carlo Cottarelli, il pacato sorveglian­te degli sprechi e della spesa, elegante e gradevole come un buon chirurgo, che sa sorridere mentre dice: “Amputare!”. Lo percepivam­o come una specie di calcolatri­ce vivente e invece, da quando va in tivù, eccolo spiritoso e sgarzolino. Rilascia t

weet che esultano per il numero di follower (“Grazie a tutti! Ormai più che riempiamo lo Juventus Stadium. Il prossimo obiettivo è l’Olimpico di Roma, poi cercheremo di riempire San Siro”); e addirittur­a si abbandona al delirio adolescenz­iale (“Stasera vado a #chetempoch­efa. Mi perdo pure InterMilan. E poi che canto? C’è solo il surplus? Amalo pazzo surplus amalo? Chi non salta scialacquo­ne è, è?”). Maga- ri la famiglia ha chiamato un dottore. Magari il nipotino di nove anni gli ha fregato il telefono. Oppure, più probabile, è in corso un ridisegno del carattere (basta solo numeri! Un po’ di normalità!) per la costruzion­e di una popolarità e poi – eventualme­nte – una “discesa in campo”.

Di solito dietro queste scelte

spunta sempre uno di quei guru della comunicazi­one che fanno più danni del vaiolo tra i Maya, ma non sappiamo se sia questo il caso, e magari Cottarelli, coerente con le sue spending review, fa tutto da solo.

Niente di nuovo, lo dico per rassicurar­e tutti. L’umanizzazi­one dei tecnici si è già vista, anche in modi esilaranti, con Mario Monti.

Gli regalarono persino un cagnolino in diretta tivù, in modo che il pubblico facesse oh hh, stupito che lui non lo macellasse lì, sul posto. Insomma, il disegno del carattere, l’e l a bo r azione di una figura ben modellata da presentare al pubblico, è una strana alchimia. Bisogna sembrare efficienti e capaci, ma anche un po’ persone normali, affidabili ma buontempon­i, rigorosi e tosti, ma anche alla mano.

E poi, all’occorrenza, il carattere (dal greco: impronta) può servire alla rovescia, come alibi di tutto. Renzi ne ha parlato mol- to alla Loepolda (“Cari amici che criticate il carattere…”), riducendo la valutazion­e della sua devastante opera politica a semplici critiche al suo “carattere”.

Lo ha fatto anche in un tweetin cui mostra la sporcizia nella periferia di Roma e chiosando: “Colpa del mio carattere anche questo?”. Piuttosto incongruo, ma evidente la linea di pensiero: l’unica colpa che si ammette è il temperamen­to, bon, basta lì, tutto il resto passa in cavalleria.

Come se uno dicesse: “Ah, il conte Vlad, detto Dracula, soprannomi­nato l’Impalatore? Uh, che caratterac­cio!”.

TUTTO QUESTO FARE e disfare di personalit­à multiple e caratteri mutevoli avviene, nell’epoca dei social, sotto gli occhi di tutti, si tratta per così dire di metamorfos­i in pubblico e ognuno può leggerne i segnali, le sfumature, i salti di senso, gli aggiustame­nti.

Come gli antichi con le interiora di pollo o i moderni coi fondi di caffè, stando anche solo un po’attenti si può leggere il futuro: Renzi si ritaglia la leggenda autoassolu­toria del “cara tteracc io”, Cottarelli si scalda a bordo campo.

I DANNI DEI GURU L’obiettivo è far sembrare umano il calcolator­e anche con tweet adolescenz­iali: “Che canto da Fazio: ‘Chi non salta scialacquo­ne è, è?’”

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