Le pene infinite di Stefanel, banche e fondi esteri verso la nuova crisi
CMARCHIO Nel 1959 Carlo Stefanel avvia la produzione con il marchio “Maglificio Piave” commercializzando attraverso il canale dei grossisti. A metà degli anni 70 il figlio Giuseppe crea una propria rete di agenti e il marchio “Linea Sigma”. Nel 1980 apre a Siena il primo negozio con insegna Stefanel, due anni dopo a Parigi e nell’84 Stefanel diventa la denominazione ufficiale, sbarcando in Borsa nell’87. È negli anni 90 che si sviluppa la rete di franchising fino al 2013 quando iniziano i primi problemi strutturali dell'azienda hi pensava che bastasse cambiare il padrone per rimettere in sesto lo storico marchio di abbigliamento Stefanel, in crisi da anni, si è sbagliato di grosso. Via dalla tolda di comando, alla fine del 2017, il patron e fondatore Giuseppe Stefanel (Bepi per gli amici) con la sua quota ridotta al 16% e dentro i due fondi di private equity Oxy Capital e Attestor a rilevare il pieno controllo del gruppo veneto dopo un interminabile ( l’en n es i mo ) accordo di ristrutturazione del debito, in meno di un anno siamo punto e a capo.
RINVIATA per due volte la pubblicazione della semestrale; debiti di nuovo in aumento e la prospettiva ormai quasi acclarata che a fine 2018 i covenant bancari (gli accordi sul rispetto dei parametri di bilancio per continuare a finanziare la società) non saranno rispettati. E così il turnaroundpromesso dai nuovi azionisti si è già infranto. In soli otto mesi. Gli unici numeri che descrivono la nuova caduta nell’abisso si possono ricavare dalla comunicazione obbligatoria alla Consob dei dati sui debiti (Stefanel è nella lista nera dell’Authorityche vigila sulla Borsa).
L’accordo che aveva dimezzato il debito finanziario solo l’anno scorso, portandolo da 80 a poco più di 40 milioni grazie al sacrificio di parte dei crediti di banche e fornitori è già saltato. Il debito finanziario netto ad agosto scorso (ultimo dato disponibile) era già risalito a 60 milioni. In cassa c’erano solo 6 milioni a fronte dei 22 milioni di fine 2017. Debiti di nuovo in forte risalita e liquidità che si prosciuga. Si apre così un nuovo atto della profondissima crisi della società dell’abbigliamento low cost. E non si sa come si chiuderà. Di certo l’onere chiesto dai nuovi azionisti Oxy e Attestor per evitare il crac già nel 2017 a banche e fornitori non sono serviti a granché. Le banche avevano rinunciato di fatto a 25 milioni di euro di prestiti trasferiti nel frattempo ai nuovi soci forti insieme al saldo e stralcio di una quindicina di debiti con i fornitori. In cambio ecco nuovi capitali per 23 milioni indispensabili a ricostituire il capitale in fumo. Undici milioni messi dai fondi; altri 11 dalle stesse banche e 1,2 milioni da Bepi Stefanel. Per dire della gravità della situazione il tasso pagato a banche e Stefanel per la nuova finanza era del 9%. Il problema è di nuovo finanziario come lo è stato per anni, ma di certo non aiuta la continua discesa del conto economico che la prossima semestra-
La storia
le rivelerà. Stefanel era ed è una sorta di zombie da almeno una decina d’anni.
È del 2008 la prima moratoria sul debito bancario, rinnovata per almeno 4 volte. Ed è da un decennio che Stefanel chiude in rosso i conti. L’azienda dell’anziano imprenditore veneto ha perso dal 2008 la metà dei ricavi, e soprattutto il margine industriale è quasi sempre finito in perdita. Per non parlare degli utili o meglio del lungo filotto di perdite che, cumulate, sono state di ben 150 milioni dal 2008 in poi. Riuscire a stare in piedi quando non produci mai reddito e con sulle spalle 80 milioni di debiti è una sfida alla legge di gravità.
EPP URE Stefano Visalli, il manager del fondo Oxy che ha puntato su Stefanel, era fiducioso. In un’intervista dichiarò: “Quando prendiamo la maggioranza di un’azienda, dietro il congelamento dei debiti da parte delle banche e dei fornitori, la rivoltiamo come un calzino, cambiando il management, l’approccio al business e il posizionamento di mercato. L’obiettivo finale è quello di rimettere in piedi l’azienda e, nel giro di cinque anni, rivenderla”.
Un lento declino
La concorrenza dei prezzi e l’arrivo dei colossi spagnoli e svedesi ha colpito i gruppi che nel Nord-est crearono l’abbigliamento low cost