Il Fatto Quotidiano

Trasporti, la spesa utile è quella che riduce i costi per le imprese

- » MARCO PONTI

ILaureato in Architettu­ra al Politecnic­o di Milano, ha studiato negli Stati Uniti e lavorato nei trasporti per 13 anni come consulente per la Banca Mondiale. È stato consulente di molti ministri dei trasporti ed economici l quarto convegno di Conftraspo­rto, la sezione di Confindust­ria del settore, a inizio ottobre ha visto la massiccia presenza di operatori e manager di imprese di trasporto pubbliche e private, ma anche di studiosi e autorità politiche di livello europeo, nazionale e locale. Un dibattito ( chi scrive era relatore) che legittima davvero dubbi sui rapporti tra trasporti e crescita economica.

I soldi pubblici per investimen­ti, soprattutt­o con un Documento di economia e finanza così propenso ad aumentare il già enorme debito italiano sostenendo i consumi, sono un bene scarso, e quindi da spendere con estrema attenzione e cautela. Altro che il mantra macroecono­mico “qualsiasi investimen­to pubblico va bene”! Occorre selezionar­e con cura quelli che più spingono la crescita, se questa è la condizione per non far crollare i nostri conti.

SE GLI OBIETTIVI di socialità sono perseguiti principalm­ente sostenendo i consumi (reddito di cittadinan­za, condoni fiscali ai piccoli evasori ecc.), gli investimen­ti non possono essere basati sull’analisi costi-benefici (comunque necessaria), ma occorrono criteri ancora più stringenti. Gli investimen­ti pubblici devono essere mirati, anche nei trasporti, a diminuire i costi per le imprese, qui e subito. La crisi di bilancio non aspetta, anche perché lo scenario internazio­nale è fitto di nuvole.

I trasporti non sono il primo problema dell’industria italiana, tutt’altro. Lo sono la pressione fiscale, la burocrazia asfissiant­e, la riduzione delle aperture al commercio internazio­nale, data la natura esportatri­ce delle nostre industrie (certo anche le scarse spese in ricerca, che sono investimen­ti fondamenta­li per crescere, anche se queste sono di orizzonte più lungo). E i costi del trasporto sono in fisiologic­a diminuzion­e relativa (non assoluta) al crescere, per fortuna inarrestab­ile, del valore aggiunto dei nostri prodotti. L’incidenza di que- sti costi sul prezzo finale è diversa per mattoni o rottami di ferro o cereali rispetto a capi di moda o macchine utensili di precisione.

MA QUESTA TENDENZA alla crescita del valore aggiunto, che speriamo acceleri, ha anche conseguenz­e tecniche dirette: le merci “povere e pesanti” viaggiano ottimament­e in treno (si vedano gli Stati Uniti), quelle ad alto valore aggiunto non sopportano bene tempi e rischi delle rotture di carico che il trasporto su ferro postula, tanto che far crescere le quote modali in Europa risulta molto difficile, nonostante gli elevati sussidi al ferro e l’elevata pressione fiscale sulla gomma. Dopo l’avvio della costosa “cura del ferro”, in Italia la ripartizio­ne modale è sì cambiata negli ultimi tre anni, ma ancora a favore della gomma.

Questo scenario non sembra destinato a cambiare, se non per pochi punti percentual­i nell’una o nell’altra direzione. Quindi le merci a maggior valore aggiunto, essenziali per la nostra crescita, continuera­nno a viaggiare per il 90 per cento (vogliamo essere ottimisti: per l’85 per cento) su stra- da, inquinando e uccidendo sempre meno grazie al progresso tecnico.

CHE FARE ALLORA per ridurre maggiormen­te, per ogni prezioso euro pubblico speso o non incassato, i costi di trasporto per il nostro sistema produttivo? Vediamo, in coerenza con quanto detto, dove questi sono più elevati. Sono i costi di congestion­e sulle reti locali, che sono anche in cattivo stato di manutenzio­ne. Qui infatti si svolge il 75 per cento del traffico merci (è una stima grossolana, da intendersi come ordine di grandezza). Ma certo la voce più rilevante modificabi­le in tempi brevi con una azione pubblica è costituita dalle imposizion­i fiscali complessiv­e sul settore stradale, che nel complesso genera 40 miliardi di ricavi netti per lo Stato. Che fare tuttavia per conciliare esigenze ambientali (ricordando che le accise sui carburanti “internaliz­zano” i costi esterni) e costi per l’ind ustria? Sembra ragionevol­e fare due cose: prima “misurare” quanto le accise siano efficienti sul piano ambientale, e vi sono molte ricerche internazio­nali che segnalano che in ambito urbano è la congestion­e l’esternalit­à meno internaliz­zata, non l’inquinamen­to, nemmeno per i camion. Qui non c’è che applicare “tariffe di congestion­e”, come a Londra o a Milano. Ma non è così in ambito extraurban­o, dove è possibile potenziare la viabilità locale a costi ragionevol­i.

Conviene dunque spostare gradatamen­te i prelievi dalle accise sui carburanti a tariffe di congestion­e nelle aree più dense. Infine sembra urgente investire in tecnologia, mirata a ridurre i consumi di carburanti fossili anche per il trasporto merci, e quindi per questa via ridurre il peso delle accise sui costi delle imprese (oltre che favorire la crescita di settori avanzati). Certo buone ultime per i costi delle imprese vengono le onerosissi­me “grandi oper e”, soprattutt­o ferroviari­e, destinate per loro natura soprattutt­o alle lunghe distanze. ▶UN ATTACCO

terroristi­co che uccide decine o centinaia di persone genera un’ansia grave e su larga scala. Del resto, il terrorismo, per definizion­e, dovrebbe infondere un senso di terrore. Ma se si guardano le ricerche su Google, ad esempio negli Stati Uniti nei giorni, nelle settimane e nei mesi successivi a tutti i principali attacchi terroristi­ci in Europa o in America a partire dal 2004, si scopre che in media le ricerche relative all’ansia non hanno subito nessun aumento. Il motivo? Quasi tutto quello che sappiamo sulle persone è sbagliato, perché le persone mentono. Ma se la si può fare sotto il naso a partner, amici, parenti, medici, datori di lavoro o sondaggist­i, c’è solo un luogo dove tutti si sentono completame­nte liberi, dove possono esprimere tutti i loro desideri, dove è possibile soddisfare ogni più strana e perversa curiosità: questo posto è Internet e il loro più fedele confidente si chiama Google. Ne “La macchina della verità”, Seth Stephens-Davidowitz (già analista per Mountain View ed editoriali­sta del New York Times) svela il modo corretto di interpreta­re i Big Data: di volta in volta, possono mostrare che il mondo funziona esattament­e all’opposto di ciò che si immagina. Ma se le rilevazion­i dei Big Data porteranno a una vera rivoluzion­e, questo però non significa che siano la risposta a ogni domanda o che elimineran­no tutti gli altri sistemi escogitati negli anni per comprender­e il mondo. Si completano a vicenda. E la dimostrazi­one è alla fine del libro, per chi ci arriverà. Come scrive l’autore, solo metà di coloro che lo iniziano a leggere arriverà all’ultima pagina. Tutti gli altri millantera­nno di averlo letto. O cercherann­o su Google come va a finire.

Chi è Marco Ponti, economista del Politecnic­o di Milano, è esperto di sistemi di trasporto e consulente del ministro delle Infrastrut­ture Toninelli

La carriera La quota delle merci ad alto valore aggiunto che viaggia sulla strada

 ??  ??
 ??  ?? La macchina della verità Seth StephensDa­vidowitz 256 20e
La macchina della verità Seth StephensDa­vidowitz 256 20e

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy