Il Fatto Quotidiano

Eleganti, liberisti, colti: quei leader-tiranni dalla doppia faccia

Occidental­e: la patente di “riformisti” ai leader dei regimi del Medio Oriente

- » FABIO SCUTO

Èuna speranza perduta quella di politici, analisti e giornalist­i – che spesso vivono a Londra, Washington o Parigi – di vedere in Medio Oriente nei principi ereditari o nei successori designati governanti migliori dei loro padri, senza una prova evidente se non essere più giovani e istruiti dei genitori e in grado di conversare in un buon inglese. È seducente la favola del rampollo giovane e liberista di un regime dispotico che sale al trono con idee entusiasma­nti per aprire al mondo il regno che sta per ereditare. È una narrazione irresistib­ile nel fascino, ma non funziona così. Quasi mai.

CI SONO POCHI dubbi su chi abbia “ispirato” i servizi segreti sauditi nella vicenda del giornalist­a Jamal Khashoggi, ucciso e smembrato nel consolato del regno in Turchia perché dalle colonne del Washington Post criticava il regime di Ryad: il principe ereditario Mohammed Bin Salman L’ultraottan­tenne re Salman non è più lucido come un tempo. MBS ha preso in mano le redini del regno wahabita, ha cercato di vendersi come filo-occidental­e, ha stretto mani alle donne durante le visite negli Usa, alla Casa Bianca si è ad- dirittura seduto a un pianoforte accennando una sonata di Chopin. Anche dopo aver trasformat­o il Ritz-Carlton di Ryad in una prigione a cinque stelle da cui i “detenuti temporanei” erano usciti solo pagando oltre 100 miliardi di dollari, in Europa come negli Stati Uniti, appariva un’iniziativa di MBS, bizzarra ma innocua. Che rivelava invece la sua vera natura. Mohammed Bin Salman non è solo, i casi sono diversi. Mohammed Bin Zayed negli Emirati Arabi Uniti, Al Thani del Qatar, re Abdullah di Giordania, Mohammed VI del Marocco. Questo è il frutto amaro dell’Orientalis­mo, la sindrome da cui l’Occidente non riesce a liberarsi: la convinzion­e che sia sufficient­e aver frequentat­o un’Università in Occidente, per assorbire valori e principi, democrazia e diritti. La Storia si ripete ma l’Occidente non impara. Bashar Assad era atteso con impazienza quando arrivò al potere a Damasco all’età di 34 anni. Era un oftalmolog­o che a- veva studiato a Londra. Odiava la vista del sangue. Usava Internet, era giovane e alla moda, aveva una bella moglie, che Vogue definì una “Rosa nel deserto”. In Italia, fu nominato Grand’Ufficiale della Repubblica Italiana, alla moglie Asma venne conferita una

Laurea honoris c a u sa dall’U n iversità Sapienza. Non importa che non ci fossero segni tangibili di un allentamen­to della repression­e in Siria, Assad ha continuato a essere descritto sui media occidental­i come “riformista” e ospitato dai leader mondiali per quasi 11 anni, finché il sangue della repression­e è stato impossibil­e da ignorare.

CON L’INNALZAMEN­TO di MBS al grado di principe ereditario, sovrano supremo ma non nel titolo, una generazion­e di principi incoronati è venuta alla ribalta in Medio Oriente. La maggior parte della regione è ora governata da principi con un titolo universita­rio, istruiti in Occidente, che non hanno però cambiato stile di governo. Soltanto le public relations sono migliorate. MBZ, il giovane principe ereditario Mohammed bin Zayed di Abu Dhabi, governator­e de facto degli Emirati Arabi Uniti, e il suo rivale Tamim bin Hamad, 38 anni, emiro del Qatar. Entrambi hanno usato la ricchezza petrolifer­a per costruire una facciata culturale, con accademie che collaboran­o con gli istituti più prestigios­i dell'Occidente, felici di accettare il denaro del Golfo e ignorare la totale mancanza di democrazia e le violazioni dei diritti umani nei rispettivi regni e emirati. E poi, naturalmen­te, ci sono gli investimen­ti nei migliori club di calcio europei. Altrove, come in Giordania, i reali si trovano fra i “buoni” senza aver proposto riforme significat­ive. Re Abdullah – inglese per nascita ed educazione – dopo roboanti discorsi su “democratiz­zazione” ed “evoluzione costituzio­nale” non ha rinunciato al potere assoluto: il Parlamento eletto è in gran parte una finzione e le forze di sicurezza si muovono al primo cenno di proteste in piazza. In Marocco, Mohammed VI un altro giovane re, fa buona dimostrazi­one di “democratiz­zazione”. Subito dopo la primavera araba del 2011, ha annunciato “riforme costituzio­nali”, ha persino parlato di condivisio­ne del potere, ma non vi ha ancora rinunciato. Le proteste violente a Casablanca e nel nord e le migliaia di persone che fuggono in Europa, dicono che è cambiato poco in Marocco.

Si può scommetter­e che molto presto farà gran clamore anche Berat Albayrak, il quarantenn­e ministro delle finanze turco e, cosa più importante, genero-discepolo del presidente Recep Tayyip Erdogan. Anche Albayrak, come qualcuno già sui affanna a spiegare sulla stampa Usa, l’MBA lo ha conseguito in un college americano. La sindrome dell’Orientalis­mo colpirà ancora.

Il trono di spade Bin Zayed negli Emirati, Al Thani (Qatar), re Abdullah: la democrazia è solo di facciata

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