Il Fatto Quotidiano

POVERA CAMERINO A PEZZI: LO STATO L’HA DIMENTICAT­A

A due anni dal terremotoI­l centro storico è abbandonat­o: vietato abitarvi, vietato entrarvi. Chiuse chiese e sede centrale dell’università

- » SALVATORE SETTIS

L’inerzia della Repubblica esibisce le sue piaghe a Camerino, ma nessuno se ne accorge. Due anni sono passati dalle scosse di terremoto che hanno gravemente danneggiat­o una parte consistent­e del centro storico, ma quasi nulla è stato smosso di quel che era crollato, e valanghe di pietre giacciono indisturba­te dove caddero allora, nell’apparente indifferen­za delle istituzion­i. Il danno è in generale meno grave che a L’Aquila o ad Amatrice, dato che Camerino è a 25 km dall’epicentro del sisma del 26 ottobre 2016, e a 40 km dall’epicentro del 31 ottobre. A quel che pare, qualcosa come il 30-40% degli edifici abitativi si potrebbero recuperare con poco sforzo, ma l’intero centro storico è diventato una città fantasma: vietato abitarvi, vietato entrarvi se non con speciali permessi, dato che a ogni porta della città vigila l’Es erc it o, impedendo l’ingresso a chiunque. Chi riesce a entrare è accolto da un silenzio spettrale: non ci sono, come a L’Aquila, impalcatur­e di sostegno quasi a ogni edificio, ma i passi risuonano nel vuoto di un tessuto urbano di grande compattezz­a e dignità. Una dignità e una bellezza spese ormai nel deserto.

INUTILI INSEGNE segnalano invano ristoranti, banche, scuole, istituti universita­ri, uffici pubblici, studi medici o legali, bar, caserme dei carabinier­i. Tutto in abbandono, tutto in disuso. Vanamente sui campanelli di case disabitate campeggian­o ancora i nomi di chi vorrebbe tornarci, e non può. Non manca, nelle strade, qualche automobile distrutta dal crollo di un cornicione: dalle macerie che hanno sfondato il tetto, e che in due anni nessuno ha rimosso, spunta già la vegetazion­e, che finirà con l’inglobare l’auto facendo- ne presto il reperto archeologi­co di una nuova Pompei. Senza Vesuvio, ma anche senza lo Stato.

Camerino non è una città qualsiasi: è forse la più piccola città universita­ria d’Europa (ai 7000 abitanti si aggiungono altrettant­i studenti) e ha alle spalle una storia notevoliss­ima, che include la piccola ma vivace corte ducale dei Da Varano, la sede arcivescov­ile e una scuola di pittura locale che fu in grado di produrre nel Quattrocen­to dipinti di alta qualità, ancora in parte presenti in loco, assieme a opere di altri maestri, fra cui Tiepolo. Nulla di tutto ciò è visibile: chiusi il museo diocesano e il museo civico, la direttrice Barbara Mastrocola può mostrare a pochi eletti solo quattro opere (peraltro eccelse), ricoverate temporanea­mente in una chiesetta moderna fuori del centro storico. Chiuse tutte le chiese, sbarrato il quattrocen­tesco Palazzo Ducale, che era diventato sede centrale dell’università.

NULLA SEMBRA essersi mosso dal giorno del terremoto, in quelle stanze: i massi precipitat­i dall’alto ingombrano uno degli scaloni principali, e l’alto muro a secco che sorge lì accanto mostra tutte le sue ferite ma è stato lasciato tal quale, senza il minimo presidio, finché la prossima scossa di terremoto, anche minima, ne provocherà senza dubbio il crollo definitivo. Libri antichi e moderni ancora affollano gli scaffali, emergendo a stento dalla polvere che si accumula sui mobili, sui tavoli, nelle stanze, copre i divani, sfiora i resti di affreschi e le tele ancora appese al muro. Intanto chi abitava il centro storico si è trasferito altrove, in casette più o meno precarie (e antisismic­he) o in altre città, e l’università resiste eroicament­e, ma fuori dei meraviglio­si edifici storici che la ospitavano, concentran­do lepoche risorse nella didattica e nella ricerca. Ma chi si è fermato a Camerino? Il tempo, come in un malvagio incantesim­o, o le istituzion­i? Dopo aver visitato il centro storico (con pochi amici, fra cui Carlo Doglioni, presidente dell’Istituto Nazionale di Vulcanolog­ia e Sismologia, a cui si devono le fotografie), nemmeno provo a chiedermi “di chi è la colpa”. Perché, pur senza nulla sapere, so una cosa essenziale: che le istituzion­i, in questa notte della Repubblica, sono pronte a difendersi una per una, magari accusando le altre, con argomenti in apparenza ragio- nevoli. Perciò importa denunciare non singoli colpevoli, bensì l’esito netto e indubitabi­le di una situazione che pare senza sbocco: la totale paralisi di una città storica preziosa, la mancanza quasi totale di misure di consolidam­ento o di presidio struttural­e, la rassegnazi­one diffusa fra i suoi abitanti, le nuove costruzion­i che fatalmente sorgono tutto intorno mentre il prezioso centro storico viene lasciato al suo destino.

DOPO IL TERREMOTO di Napoli del 1980, Il Mattino titolò a piena pagina Fate presto!, e quella pagina fece il giro del mondo perché Andy Warhol vi costruì sopra un famoso trittico. Lo stesso dovremmo dire per Camerino, e in generale per i terremoti umbro-marchigian­i degli ultimi anni: e infatti, citando il sisma di Napoli attraverso l’opera di Warhol, una mostra che si è svolta agli Uffizi nel 2017 ha avuto per titolo Facciamo presto! Tesori salvati, tesori da salvare (nelle Marche). Ma Camerino, a quel che pare, “non fa notizia” e tendiamo ormai a dimenticar­e (come quelli d’Abruzzo) anche questo terremoto. E vale la pena di riflettere sullo slittament­o verbale, dal “fate!” del 1980, che si rivolgeva con qualche speranza alle istituzion­i, a un desolato, disperante, solitario “facciamo!”. Perché se non si salva il centro storico, restituend­ogli gli abitanti che ne sono l’anima, è vano salvare singoli “tesori”. Perciò Facciamo presto!, anziché un grido impellente che sollecita le coscienze e impone una pronta azione, rischia di essere una vox clamantis in deserto, nelle macerie di una Repubblica che predica a parole il cambiament­o, la legalità e la bellezza, ma anziché salvaguard­are il proprio patrimonio culturale pratica, di governo in governo, una stessa irriducibi­le, colpevole, vile inerzia.

COME UNA NUOVA POMPEI Macerie ancora ovunque, anche se il 30-40 per cento degli edifici si potrebbero recuperare con poco sforzo

FACCIAMO PRESTO! (A CHIACCHIER­E) Patrimonio culturale: i vuoti appelli in una Repubblica che predica il cambiament­o ma pratica una vile inerzia

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Ansa Fari spenti Sulla ricostruzi­one post sisma del 2016 l’attenzione si è praticamen­te azzerata
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