Il Fatto Quotidiano

L’ultimo socialista francese in guerra contro i populisti

Il commissari­o europeo agli Affari economici che boccia la manovra e attacca Salvini sta cercando un posto per il futuro

- » STEFANO FELTRI

Nei suoi primi 61 anni di vita, Pierre Moscovici sembra essersi impegnato molto a rispettare tutti i cliché: da figlio dell’élite intellettu­ale – genitori: lo psicologo sociale Serge Moscovici e la psicanalis­ta femminista Marie Bromberg – ha studiato prima a Sciences Po e poi all’Ena, la scuola d’amministra­zione che forma la classe dirigente; da europeista non ha mai esitato a usare (e poi lasciare) le cariche europee come strumento per ambizioni di politica interna francese; da socialista ha sempre cercato più il consenso della rive gauche intellettu­ale parigina che delle masse popolari e, come da tradizione socialista, si è concesso una vita privata vivace all’altezza di quella del suo ex capo François Hollande (prima la fidanzata Marie-Charline Pacquot, giovane filosofa, 30 anni di meno, relazione scoperta da un settimanal­e di gossip, poi la funzionari­a del ministero dove lavorava, Anne-Michelle Basteri, 22 anni di meno, ora sua moglie).

L’ultimo dei clichécui Moscovici ha scelto di aderire è quello dell’eurocrate che sfida i populisti in nome dell’austerità, campione di quell’Europa delle regole che oggi gode di così cattiva fama. E allora, nei suoi ultimi mesi da commissari­o agli Affari economici e monetari, non si limita a contestare all’Italia le conclamate violazioni degli impegni su debito e deficit, ma aggiunge un di più di insulti, soprattutt­o a Matteo Salvini e agli altri “pi cco li Mussolini” del continente.

DI TUTTE LE COSEche gli contestano in questi giorni, una almeno è ingiusta: il rigore ha provato ad applicarlo anche in patria. È diventato ministro delle Finanze di Hollan- de nel 2012 e ha portato il rapporto tra deficit e Pil dal 5,2 per cento del 2011 al 5 nel 2012, al 4,1 nel 2013 (il deficit della Francia, a differenza di quanto raccontano tanti anche in Italia, si sta riducendo da anni, nel 2017 è arrivato al 2,7 per cento). Ma questo non è bastato a fermare l’aumento del debito, passato dall’87,8 per cento del 2011 al 98,5 del 2015, comunque più basso del 130,8 dell’Italia ma ingombrant­e.

PER CAPIRE Moscovici bisogna partire dalla fine, dal 4 ottobre, quando ha annunciato di non voler correre come presidente della Commission­e Ue per il Partito socialista europeo nel 2019. Il discorso è pubblicato sul suo blog sotto il sobrio titolo “Salvare l’Europa”. Come sempre, nelle mosse europee di Moscovici – che si picca di essere nato nel 1957, lo stesso anno della Comunità europea – la spiegazion­e è tutta francese: il suo Partito socialista è stato troppo ambiguo, “non possiamo guardare allo stesso tempo a Jean-Luc Mélenchon (il sovranista di sinistra in Francia, n d r) e ai miei amici Pedro Sánchez, Antonio Costa o Alexis Tsipras”; vuole opporsi alle nuove destre protezioni­ste, ma ha contestato i trattati commercial­i con Usa (Ttip) e Canada (Ceta) che Moscovici invece difende: “Io non credo alla sinistra che vuole rompere con l’Europa o nell’illusione di costruire un’altra Europa, questa è vecchia retorica (...) la maggior parte degli elettori che hanno abbandonat­o i socialisti nel 2017 non lo ha fatto perché erano troppo europeisti, ma perché lo erano troppo poco”.

Nessuno glielo aveva chiesto formalment­e, ma Moscovici annuncia di non voler fare lo Spitzenkan­didat socialista ( cioè il candidato alla Commission­e) anche perché i Socialisti europei si sono rinchiusi in uno “splendido iso- lamento” dopo la rottura della grande coalizione con il centrodest­ra del Ppe. In nome della lotta contro i sovranisti e i populisti, sostiene Moscovici, con il Ppe bisogna trattare. Soprattutt­o se si vuole partecipar­e alla spartizion­e delle poltrone nel 2019 quando ci sarà una grandissim­a coalizione con tutti dentro tranne gli euroscetti­ci. Moscovici, pare ormai chiaro, in quella spartizion­e vuole avere un ruolo.

Anche perché in Francia il suo mondo sembra davvero finito, travolto dalla doppia avanzata di Emmanuel Macron e del suo populismo d’establishm­ent e, dall’altro lato, da Marine Le Pen e Mélenchon. Per l’establishm­ent socialista non resta molto, e di quell’ establishm­ent Moscovici è parte da sempre: nel 1984 finisce l’Ena e diventa membro del gruppo di esperti del Partito socialista, quando Lionel Jospin fa il ministro dell’Istruzione lo chiama al suo fianco come consiglier­e, nel 1994 viene eletto al Parlamento europeo, ma torna nel 1997 per diventare deputato all’Assemblea nazionale del dipartimen­to di Doubs e fare il ministro degli Affari europei del governo (socialista) Jospin. Poi continua a fare il deputato, con andata e ritorno tra Parlamento francese e Parlamento europeo.

IL SUO RIFERIMENT­Otra i socialisti francesi era Dominique Strauss-Kahn, che difenderà anche dopo le accuse di stupro che gli costeranno le dimissioni dal Fondo monetario internazio­nale. In mancanza di DSK, Moscovici punta su Hollande, gli gestisce la campagna elettorale e in cambio riceve il ministero dell’Economia e delle finan- ze. Nei due anni a Bercy ottiene una nuova fidanzata e molte critiche. Anche dalla Commission­e europea, con la quale in quei due anni Moscovici è incaricato di condurre un bluff dall’esito già scritto: promette di riportare il deficit sotto il 3 per cento del Pil ma poi rinvia sempre il momento (arriverà soltanto nel 2017). E ripete: “Non siamo l’anello debole d’Europa”.

DI SICURO Hollande si rivela l’anello debole dei partiti socialisti europei. Dopo le Europee 2014, che in Francia sono ricordate soprattutt­o per il trionfo del Front National e l’inizio della fine politica di Hollande (prima della stagione degli attentati che inizia a gennaio 2015), il presidente propone ad Angela Merkel una mossa spericolat­a. Anche se il Partito popolare è arrivato primo, e quindi tocca al suo candidato Jean Claude Juncker la guida della Commission­e, i governi degli allora 28 Stati dovrebbero indicare proprio Moscovici come affermazio­ne dei valori europeisti e sfida ai sovranisti. La Merkel non cede, la Commission­e va a Juncker e Moscovici si prende il portafogli­o degli Affari economici.

Negli anni dei governi Renzi-Gentiloni, sempre in nome del costruire un argine contro i populisti, Moscovici avalla la richiesta italiana di avere più flessibili­tà: 30 miliardi di euro, finiti poi in bonus (80 euro) e poco altro.

Ora, nella fase finale del suo mandato, imita il predecesso­re Olli Rehn, falco del rigore contabile, che tra fine 2013 e inizio 2014 fece la sua campagna elettorale per il Parlamento europeo anche sullo scontro con l’Italia, le cui deviazioni dagli obiettivi di deficit sono molto malviste nella sua Finlandia. Rehn poi è diventato vicepresid­ente del Parlamento Ue e ministro in patria. Moscovici chissà.

L'episodio della scarpa made in Italy è grottesco All’inizio si sorride e si banalizza perché è ridicolo, poi ci si abitua a una sorda violenza simbolica e un giorno ci si risveglia con il fascismo

L’ASCESA Rispetta i cliché: scuole d’élite, intellettu­ale di partito, più a suo agio nei salotti parigini che tra la gente

PRIMA DI ANDARE A BRUXELLES In due anni al ministero dell’Economia ha litigato pure lui con l’Ue sul deficit (ma ha trovato la fidanzata)

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Ansa Gli antichi mentori Un giovane Moscovici con Lionel Jospin e Dominque Strauss-Kahn
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Ansa Con la ex fidanzata Moscovici nel 2013 con Marie-Charline Pacquot, 30 anni più giovane

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