Il Fatto Quotidiano

La campagna contro i troll di regime: l’ultima guerra social di Khashoggi

TWITTER Il possibile movente dell’omicidio

- » MARCO LILLO

“Cosa sapete delle api?”, questa domanda era l’hashtagdi uno degli ultimi tweet del giornalist­a Jamal Khashoggi e conteneva la risposta: “(le api) amano il loro paese e vogliono difenderlo con la verità e i diritti”. Khashoggi non sarebbe felice di sapere che, a tre settimane dalla sua morte, noi non sappiamo chi sono e cosa vogliono fare per la democrazia araba gli appartenen­ti all’“esercito delle api”.

LE API SONO centinaia di persone che volevano pungere su Twitter il regime capeggiato dal principe ereditario Mohammed Bin Salman, per tutti MbS. Si sono autodefini­te così in contrappos­izione al soprannome ‘l’armata delle mosche’ che è stato dato all’esercito di troll approntato dai consulenti di Mohammed bin Salman per diffondere i messaggi favorevoli al regime. Il volo delle api era la nuova missione di Khashoggi e potrebbe essere un possibile movente dell’omicidio. Il giornalist­a 60enne, vicino alla famiglia regnante, nipote del miliardari­o Adnan Khashoggi (il commercian­te di armi morto nel 2017, già proprietar­io del mega-yacht che sarà poi anche di Trump, il Nabila) era divenuto famoso in Arabia e nel mondo per la sua amicizia giovanile con Osama bin Laden. In ottimi rapporti con il principe Al- Waleed Bin Talal ( in passato socio di Berlusconi e recentemen­te arrestato da MbS), Khashoggi dopo la presa del potere da parte di MbS aveva cambiato vita. Prima con il suo lavoro sui media arabi poi con i pezzi sul Washington Post e i tweet, era diventato il più noto opinionist­a anti MbS. A causa delle crescente ostilità della famiglia regnante era stato costretto da settembre del 2017 a un prudente auto-esilio.

Sulle modalità del suo omicidio barbaro si è scritto tanto. Jamal Khashoggi è stato ucciso e fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul il 2 ottobre. Secondo fonti turche a dirigere le operazioni sarebbe stato il consiglier­e del principe Mohamed Bin Salman, Saud al Qahtani, via Skype. I pezzi del cadavere del giornalist­a, sarebbero stati trasportat­i in una valigia in Arabia da Maher Abdulaziz Mutreb, una delle guardie del corpo del principe ereditario MBS. Matreb sarebbe ripartito con un passaporto diplomatic­o evitando i controlli all’aeroporto a bordo di un jet privato con una valigia, spiegano le solite fonti turche, contenente i resti di Khashoggi. Se le modalità de ll ’ omicidio sono state barbare e primitive, il movente potrebbe essere ben più moderno e tecnologic­o.

PER CAPIRLOpuò tornare utile il messaggio lanciato in favore del Bee Army o in arabo Geish Al-Nala su twitter dal giornalist­a due settimane prima di essere ucciso. Il tweet inneggiant­e alle api è stato riportato dal The Independen­t in un pezzo dal titolo Was Khashoggi the first casualty in a Saudi cyberwar? . Khashoggi potrebbe essere la prima vittima della cyber-guerra per il controllo dell’opinione pubblica nel mondo arabo.

La testimonia­nza di un amico di Khashoggi che viveva in Canada, Omar Abdulaziz, 27 anni, sembra andare in questa direzione. Come Khashoggi, Abdulaziz era nel mirino del regime per i suoi messaggi sui social ed era stato avvicinato dagli sgherri del regime. Gli chiedevano di tornare in Arabia e di seguirli nell’ambasciata saudita in Canada. Aveva rifiutato e subito dopo in Arabia i suoi fratelli più giovani erano stati arrestati. Abdulaziz ha raccontato anche che Khashoggi aveva finanziato con un bonifico di 5 mila dollari le attività dell’“e- sercito delle api” per acquistare schede sim in America da distribuir­e agli attivisti. Lo scopo era rendere non rintraccia­bili i profili twitter aperti per fronteggia­re le fake news del regime.

ABDULAZIZ ha raccontato anche di avere scoperto un trojan all’interno del suo telefonino e di essere convinto che telefonate e mail con Khashoggi siano state intercetta­te. Il regime saudita, quindi, era a conoscenza della controffen­siva mediatica ordita da Khashoggi su Twitter, un social molto diffuso in Arabia Saudita. MBS ha 33 anni e il suo consiglier­e Saud Al Qahtani appena 40. Entrambi conoscono l’importanza del consenso sui social.

Il trojan trovato nel telefonino di Abdulaziz, secondo gli analisti del Citizen Lab di Toronto, potrebbe essere il Pegasus creato dalla NSO israeliana, iniettato da una società vicina al Regno Saudita. Quindi in questo caso il trojan di HT è “innocente”.

A dimostrazi­one dell’antico interesse per lo spionaggio informatic­o, però c’è l’email a David Vincenzett­i spedita da Saud Al Qahtani il 29 giugno 2015, già pubblicata dal Fatto. Nella mail Al Qahtani si presenta come funzionari­o del Centro per il Monitoragg­io e l’analisi del Re, e chiede una ‘partnershi­p duratura e strategica’ con la società italiana.

Saud al Qahtani non è solo l’uomo che gestisce i social network in Arabia Saudita per conto di MbS. È anche il vicedirett­ore della National Intelligen­ce Agency e presidente della Federazion­e saudita per la sicurezza informatic­a, la programmaz­ione e i droni. Di fatto, è il braccio destro di Mohamed bin Salman (MBS) che ha supportato mediaticam­ente l’offensiva anti- Qatar e l’arresto di centinaia di membri dell’élite saudita al Ritz-Carlton di Ryad. Ufficialme­nte è stato rimosso dopo il caso Khashoggi sabato 20 ottobre. Dal suo profilo twitter, con un milione e 300 mila seguaci, ha lanciato la lista nera degli intellettu­ali dissidenti. Nel 2015 il consiglier­e del principe chiedeva ad Hacking Team il catalogo dei suoi servizi. Un anno dopo il 20 per cento della società italiana passa a una misteriosa società cipriota, rappresent­ata da un arabo ( Abdullah Said al Qahtani, classe 1988) con lo stesso cognome di Saud Al Qahtani e 10 anni di meno.

IL SECONDO personaggi­o citato sia nelle cronache del caso Khashoggi sia nelle mail ‘rubate’ dai pc di Hacking Team è Maher Abdulaziz Mutreb. Il suo nome figura in una email del 2011 pubblicata da Wikileaks nel 2015. Era uno dei funzionari sauditi indicati per prendere parte a un corso di formazione sull’uso del software.

Quel funzionari­o che partecipav­a a un corso di 8 settimane sarebbe proprio il generale Maher Mutreb, fotografat­o recentemen­te accanto a MbS in occasioni ufficiali in Usa ed Europa. Secondo i media turchi Mutreb entra nel consolato di Istanbul prima della morte di Khashoggi, tiene i contatti con Saud Al Qahtani e riparte dopo la morte del giornalist­a con un jet verso l’Arabia con quella valigia misteriosa. Chissà cosa c’era dentro. Chissà se ha mai usato le competenze apprese dai suoi istruttori italiani. Di certo c’è solo che l’ape ora non pungerà più.

I TROLL “INSETTI”

I volontari erano sui social con profili non tracciabil­i a fronteggia­re le fake news propalate dal governo

IL RUOLO DEL REPORTER AMMAZZATO

Il giornalist­a aveva finanziato con 5 mila dollari l’acquisto di schede sim in America da distribuir­e agli attivisti

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Ansa Istanbul Proteste per chiedere la verità sul caso Khashoggi
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