Il Fatto Quotidiano

Distinguer­e per capire

- » MARCO TRAVAGLIO

Quando manca l’opposizion­e, quel vuoto lo riempiono le piazze. Piazze diverse, contrappos­te, scomposte, contraddit­torie, ma piene. E pacifiche. Ottimo sintomo di democrazia. Anche quando chi manifesta non sa precisamen­te cosa vuole, o vuole l’esatto opposto di quel che vogliono quelli che manifestan­o nella strada accanto, o peggio vuole una cosa che domani ne causerebbe un’altra peggiore di quella che oggi non vuole. No Tav, sì Tav. No Tap, sì Tap. No alle ruspe, sì alle ruspe. No ai clandestin­i, sì ai clandestin­i che anzi non vanno chiamati clandestin­i. No ai giudici che arrestano Mimmo Lucano perché è un amico, ma no chi attacca i giudici che inguaiano i nemici. No ai migranti perché sotto casa spacciano droga, ma sì ai migranti perché senza la badante filippina, il culo a mia nonna lo devo pulire io. No alla Raggi, ma no anche a Salvini che verrebbe dopo. No al governo Salvimaio, ma no anche al governo Salvisconi che verrebbe dopo. Grande è la confusione sotto il cielo. Le ideologie sono morte tutte: il fascismo, il comunismo, ora il liberalism­o mondialist­a e sviluppist­a. E nessuno sa bene cosa arriverà al loro posto. Si dice “populismo”, “sovranismo” e altri gargarismi per demonizzar­e e contempora­neamente esorcizzar­e una realtà che non si capisce e non si controlla. Spetterebb­e agli intellettu­ali darci una mano a orientarci: ma chi li ha più visti, incistati come nelle trincee dell’establishm­ent in fuga a difendere il posto e la prebenda. Nessuno più ci illumina la realtà, ci dà gli strumenti per comprender­la e per compiere l’esercizio più difficile, nell’appiattime­nto di questo eterno presente del web che finge di informarci su tutto in tempo reale e in realtà ci ruba la memoria del passato e la chiave del futuro: l’esercizio di distinguer­e. La società civile americana, incredula e sgomenta dopo l’avvento di Trump, ha riscoperto il valore della carta stampata, come unico spazio di analisi e di approfondi­mento, e le vendite dei giornali si sono risollevat­e dopo anni di picchiata. Potrebbe accadere anche in Italia, se i giornalist­i sapessero ciò che la gente chiede all’informazio­ne. E invece sono anche loro intruppati,

embedded nei carri armati sempre più sgangherat­i e sbilenchi dei loro gruppi editoriali, aggrappati alle lobby e ai partiti retrostant­i. Non spiegano, non raccontano, non analizzano più nulla: tifano pro e contro, nella speranza che la gente distratta o abituata al peggio non avverta il fetore dell’ipocrisia, del doppiopesi­smo, dell’incoerenza, della censura e dell’autocensur­a che si leva dalle pagine dei giornali. Lo spread sale? Colpa del governo Conte, ovvio.

Ma quando restava oltre quota 500, ai tempi di Monti, non ci si faceva caso. E neppure a fine maggio, quando schizzò sopra i 300 punti dopo che Mattarella aveva incaricato Cottarelli al posto di Conte dopo il caso Savona, noto terrorista No euro (ora tutti scoprono, stupefatti, che Savona è Sì euro). Con tutti gli errori che possono imputare alla Raggi, le gettano addosso pure la croce del delitto di Desirée, come se i sindaci avessero poteri di ordine pubblico; invece le Prefetture e le Questure nessuno le chiama mai a rispondere – dell’illegalità endemica a San Lorenzo o dei disordini di piazza San Carlo a Torino – perché la colpa è sempre del sindaco (almeno se è 5Stelle). Se il M5S di governo si schiera col Tap perché bloccarlo costerebbe cifre insostenib­ili, sbaglia perché è incoerente. Ma se la giunta M5S di Torino si schiera contro il Tav perché quell’opera inutile costerebbe cifre insostenib­ili, sbaglia perché è coerente. Poi, nella pagina accanto, tutti ad accusare il M5S di “dire no a tutto” e bloccare nientemeno che “150 grandi opere”: come se fossero tutte uguali, balsamiche o inevitabil­i. I giornali che predicavan­o l’accoglienz­a per tutti, inclusi gli irregolari, e scambiavan­o le espulsioni per fascismo anziché per legalità, ora che Desirée è morta scoprono che molti irregolari africani delinquono e vanno espulsi.

Distinguer­e è di per sé difficile. Ma diventa impossibil­e quando si parte da un pregiudizi­o. Se hai deciso chi ha sempre ragione e chi ha sempre torto, non puoi distinguer­e. E neppure comprender­e chi cerca di farlo. Ieri abbiamo criticato Di Maio per l’assurda polemica con Draghi, che in realtà ce l’aveva con gli urlatori leghisti No euro e tendeva una mano alla parte più ragionevol­e del governo e dunque anche a lui. Ora ci divertiamo a leggere le reazioni: si va da “persino il Fatto scarica Di Maio”, a “Travaglio tira la volata a Di Battista”, a “i 5Stelle hanno fallito, lo scrive pure il Fa t t o ”. L’idea che Di Maio abbia sbagliato e un giornale libero gliel’abbia fatto notare, come già sui condoni fiscale, edilizio (per Ischia) e ambientale, non sfiora nessuno. Eppure sono nove anni che facciamo così con tutti. Pronti a elogiare anche chi sbaglia di più, se fa cose giuste: per esempio il Pd, quando con Minniti mise un primo freno all’immigrazio­ne incontroll­ata. Per esempio i 5Stelle per le tante misure sacrosante già varate: il reddito di cittadinan­za, la quota 100 sulle pensioni (merito anche della Lega), l’abolizione dei vitalizi, il pur timido decreto Dignità, la pur perfettibi­le soluzione su ll ’ Ilva, l’anticorruz­ione li chiedevamo da tempo immemorabi­le a chi governava prima (e non governa più anche perché non l’ha fatto). Ma chi non sa distinguer­e e continua a ragionare con la guerra fredda nel cranio, come nel Novecento, tutto il bene di qua e tutto il male di là, pensa che anche noi siamo come lui: che passiamo la vita a salire sui carri e a scenderne, a imbarcare tizio e a scaricarlo, a sposare caio e poi a divorziare. Rassegnate­vi: il Fatto non ha mai sposato nessuno. A parte i lettori, che mai come in questo momento ci sono vicini. E ci fanno sentire poligami.

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