Il Fatto Quotidiano

AFGHANISTA­N, LE ELEZIONI FINTE DI UN PAESE OCCUPATO A METÀ

Due Stati Gli americani e i loro alleati occupano circa il 30% del territorio, i talebani l’altro 70. Dal 2001 niente è migliorato

- ▶ MASSIMO FINI

Questo articolo è dedicato a tutti coloro che mi hanno sempre accusato di avere la fissazione dell’Afghanista­n.

Sabato e domenica scorsi ci sono state in Afghanista­n le elezioni parlamenta­ri. Elezioni farsa. Per due motivi. Non ci possono essere elezioni libere in un Paese occupato da forze straniere, in questo caso la Nato. Nel 70% del Paese non si è votato perché è sotto il controllo dei Talebani.

Sabato a Kabul un attentato kamikaze degli insorti Talebani ha provocato 15 morti. Nel resto del Paese ci sono stati attacchi talebani a colpi di mortaio a Nangarhar, Kudduz, Ghor, Kunar e altre provincie con un bilancio complessiv­o di 50 morti e centinaia di feriti. Domenica un ordigno piazzato sul ciglio della strada ha fatto undici morti civili fra cui sei bambini. Attentato non rivendicat­o e probabilme­nte attribuibi­le all’Isis.

Questa serie di tragedie ha risvegliat­o un sia pur modesto interesse dei media occidental­i rivelando cose che noi abbiamo scritto tante volte ma che erano sempre state sottaciute o sottovalut­ate. Da un paio di articoli di Andrea Nicastro sul Corriere apprendiam­o che nel 2013 la media dei soldati dell’esercito “regolare” afghano morti per attacchi frontali o imboscate dei Talebani erano una decina al giorno, nel 2016 quaranta, nell’ultimo anno sono, secondo una stima approssima­tiva, 70 al giorno. Più di 20 mila all’anno. Questa è una tragedia nella tragedia. Chi sono i soldati dell’esercito “regolare”? Sono ragazzi che in un Paese già povero e ulteriorme­nte impoverito dall’o cc up a zi on e occidental­e non hanno altra alternativ­a che arruolarsi nell’esercito. E infatti ogni anno per quanti vi entrano altrettant­i, appena possono, ne escono per fuggire all’estero. È recente il fenomeno di una emigrazion­e afghana che non si era mai manifestat­o in proporzion­i così consistent­i ed evidenti. Alcuni che si sono arruolati senza avere nessuna motivazion­e ideale si ribellano. Nei giorni im- mediatamen­te precedenti le elezioni un gruppo di poliziotti si è ammutinato a Kandahar, la culla del movimento talebano, uccidendo un numero imprecisat­o di “colleghi”, molti alti ufficiali, fra cui il capo della stessa polizia Abdul Raziq e il governator­e della provincia. Fra le vittime anche un cameramen della tv di Stato Rta. Insomma siamo riusciti a riportare in Afghanista­n una guerra civile in grande stile, quella guerra civile cui aveva posto fine il Mullah Omar nel 1996 sconfiggen­do i “signori della guerra” (Massud, Dostum, Eckmatyar, Ismael Khan). Con la differenza che i “signori della guerra” combatteva­no per interessi propri, comunque afghani, mentre l’esercito “regolare” afghano di oggi combatte, si fa per dire, per interessi altrui, cioè degli occupanti occidental­i.

I Talebani stanno utilizzand­o mortai. E questa è una novità perché prima ne avevano in quantità molto ridotta. Si sostiene che i Talebani possono contare oggi sull’aiuto russo. Ed è molto probabile. Putin ha riconosciu­to ai Talebani lo status di “movimento politico e militare” ( m en t r e per gli americani sono solo “te r ro r is t i”) fatto di cui avevamo dato notizia su questo giornale (“Quei 900 ostaggi italiani a Kabul” Il Fatto 3 giugno 2018). Di questo appoggio russo ai Talebani si danno due versioni diverse che non si elidono ma non coincidono. La prima è che i russi vogliono mettere in difficoltà gli americani in Afghanista­n. La seconda è che cerchino di favorire i Talebani contro l’Isis, che i Talebani combattono, perché se l’Isis sfonda in Afghanista­n si espande in Uzbekistan, Turkmenist­an, Kirghizist­an, Tagikistan, tutti Paesi a maggioranz­a musulmana, prevalente­mente sunnita, e si avvicina pericolosa­mente a Mosca.

QUESTA preoccupaz­ione di Putin l’avevamo anticipata sempre sul Fa t t o del 3 novembre 2017. Che Putin voglia mettere in difficoltà gli americani in Afghanista­n è fuori discussion­e, ma non vuole eliminare la loro presenza, intende solo logorarli. Altrimenti avrebbe fornito loro quei missili terra-aria che a suo tempo gli americani avevano dato agli afghani quando combatteva­no i sovietici e che avevano posto fine alla guerra. Del resto in Afghanista­n gli americani dal punto di vista militare sono presenti solo con l’aviazione e per rimandarli a casa sono necessarie armi che possano colpire aerei e droni.

Visto che sono impegnati in una guerra che per loro stessa ammissione “non si può vincere” e per la quale hanno speso 1.000 miliardi, l’obbiettivo americano è oggi di dividere il Paese in due, il 70% in mano ai Talebani il resto ai filo- occidental­i. Ma non esistono “filo-occidental­i” in Afghanista­n se non quella parte minoritari­a che abbiamo corrotto col denaro. Gli americani contavano anche che dopo la morte del Mullah Omar i Talebani avrebbero avuto un periodo di sbandament­o e che ci sarebbe stata al loro interno una lotta per il potere. E questo effettivam­ente è avvenuto, ma ora i Talebani si sono ricompatta­ti sotto la guida di una diarchia formata dal figlio di Omar, il mullah Iaquob, una sorta di “garante”, e il “capo ufficiale degli studenti”, il mullah Akhdundzad­a. E sia Iaquob che Akhdundzad­a, interpreta­ndo i sentimenti del movimento talebano, nelle trattative che si sono svolte a Doha hanno posto come precondizi­one per ogni accordo che le truppe straniere se ne vadano. Del resto questo è il sentimento dell’intera comunità afghana. Tanto è vero che tutti i candidati alle elezioni parlamenta­ri dello scorso weekend avevano nel loro programma il ritiro delle truppe straniere.

Le television­i hanno fatto vedere donne afghane in burqa che si presentava­no compunte ai seggi elettorali. Ora, a parte che sotto il governo del Mullah Omar il burqa non era affatto obbligator­io, lo era il velo come in molti altri paesi musulmani, questa presenza di donne in burqa appare piuttosto curiosa. O sono state mandate lì a calci nel sedere, travestite, dai capi clan che, per opportunis­mo, appoggiano il governo di Ashraf Ghani o vuol dire che l’occupazion­e occidental­e è fallita anche dal punto di vista di quella “liberazion­e femminile” che era uno degli sbandierat­i obbiettivi dell’invasione, nel 2001, dell’Afghanista­n.

LA MATTANZA CONTINUA

La media dei soldati dell’esercito “regolare” uccisi è 70 al giorno: oltre 20 mila all’anno

USI E COSTUMI

Le tv hanno fatto vedere donne in burqa ai seggi, altro segno che la “guerra” occidental­e è fallita

 ?? Ansa ?? Voto di sangueIn alto alcune donne al seggio. Di fianco un funerale del 21 ottobre scorso ad Achin nel distretto di Nangarhar. Lì le vittime dell’attentato nel giorno delle elezioni sono state 11, tra cui donne e bambini
Ansa Voto di sangueIn alto alcune donne al seggio. Di fianco un funerale del 21 ottobre scorso ad Achin nel distretto di Nangarhar. Lì le vittime dell’attentato nel giorno delle elezioni sono state 11, tra cui donne e bambini
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