Il Fatto Quotidiano

Pd, a Milano riflette il terzo incomodo: Martina

Amleto dem Il segretario - come Minniti - non sa ancora se candidarsi, ma esibisce Sanchez come modello di governo

- » WANDA MARRA

Pedro

Sanchez, il premier spagnolo, ad aprire; Walter Veltroni, più o meno l’unico padre nobile a disposizio­ne, a chiudere. Erano mesi che Maurizio Martina lavorava alla sua Conferenza programmat­ica di Milano. E così ieri ha seguito tutti i lavori in prima fila. Attanaglia­to da un dubbio amletico: essere o non essere uno dei candidati al congresso? Presumibil­mente, il dubbio non verrà sciolto neanche nell’intervento di chiusura di oggi. Anche le sue dimissioni (che dal palco di Milano verranno annunciate), necessarie per dare il via al congresso, arriverann­o ufficialme­nte nei prossimi giorni, con una lettera. L’Assemblea nazionale è prevista per il 10 o l’11 novembre.

Tra i Democratic­i si aspetta con trepidazio­ne mista ad ansia la data da cerchiare sul calendario per le primarie. Dovrebbero essere il 10 febbraio, ma chi può dirlo? C’è grande confusione sotto al cielo. Nicola Zingaretti fa un passaggio con poco entusiasmo: se Martina corre, contende i suoi voti. Matteo Renzi è assente, in Cina: più caos c’è meglio è. Marco Minniti, invece, è presente, pure se a un certo punto della giornata se ne va: anche la sua candidatur­a resta in stand by, nel tentativo da una parte di smarcarsi da Renzi, dall’altra di non trovarsi isolato, se l’ex segretario accelera verso l’uscita. Matteo Richetti non manca: ma lui le convention del mese se l’è fatte tutte, da Piazza Grande alla Leopolda.

TRA I LITIGANTI, Martina si diverte a ritagliars­i il ruolo del terzo incomodo che potrebbe funzionare da ago della bilancia in Assemblea. Nelle spe- ranze dei renziani, quello che potrebbe portare la vittoria a Minniti e condiziona­rlo, nel nome dell’ex segretario. Intanto, ieri, si porta dietro mezzo Pse. Frans Timmermans, il favorito per diventare Spi tzenkan di dat. Federica Mogher in i,ladyPesc voluta da Renzi e in rotta con lui da anni: “È bello sentirsi a casa”, dice provocando qualche polemica. E soprattutt­o Sanchez, che in Spagna governa con l’appoggio esterno di Podemos. Tra spread, liti di governo e moniti di Mario Draghi, nel Pd si ricomincia a ragionare di ri- torni al governo. Magari con i Cinque Stelle. E le parole di Sanchez sembrano quelle giuste: “In tanti ci dicevano di rassegnarc­i, che non ci sarebbe stato mai più un governo progressis­ta in Spagna. Ma con costanza e determinaz­ione abbiamo dimostrato che dipende da noi. Non ci siamo arresi e ce l’abbiamo fatta, oggi siamo al governo”.

N el l ’ en t u si asmo del momento, Sanchez sembra dimenticar­e che il Pd al governo c’è stato fino a qualche mese fa: “Lottate e presto sarete a capo della grande trasformaz­ione di cui l’Italia ha bisogno”. Decisament­e accorate le parole di Veltroni: “State uniti, vi prego. Il Pd deve aprirsi e non arroccarsi nelle correnti. Ascoltate il mio consiglio: fate meno riunioni di corrente e più riunioni della nostra comunità”. Calata nel contesto, con il gioco delle candidatur­e che assomiglia a quello degli scacchi, la preghiera suona quasi ironica.

SEN ZA con tare che la chat dei senatori dem in questi giorni è stata particolar­mente attiva. Il gruppo si è spaccato nel voto sulla legittima difesa, con gli orlandiani che non hanno votato l’articolo 2 della legge (quella che ricalcava il testo di David Ermini) insieme alla maggioranz­a. Nell’occasione Davide Faraone ha commentato: “Siamo due gruppi parlamenta­ri. Prendiamon­e atto”. Con queste premesse, immaginare cosa sarà davvero il Pd è pressoché impossibil­e.

Il Congresso Oggi l’ex ministro annuncerà le sue dimissioni: l’Assemblea il 10-11 novembre farà partire l’iter

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LaPresse Congresso Il segretario Maurizio Martina già oggi dovrebbe dimettersi
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