Il Fatto Quotidiano

Era tutto vero

- » MARCO TRAVAGLIO

Poco più di 20 mesi fa il Fattosvela­va, con una serie di scoop di Marco Lillo, lo scandalo Consip: cioè i traffici di vari uomini dell’entourage renziano per pilotare il più grande appalto d’Europa (roba da 2,7 miliardi) presso la centrale unica d’acquisto del Tesoro; e le fughe di notizie istituzion­ali di chi aveva avvertito i protagonis­ti dell’affaire su indagini e intercetta­zioni in corso, rovinando l’in ch ie st a della Procura di Napoli e del Noe proprio alla vigilia del probabile pagamento di tangenti. Era il 21 dicembre 2016 e si era appena insediato il governo Gentiloni, dopo la rovinosa caduta di Renzi al referendum costituzio­nale del 4 dicembre. Ora la Procura di Roma, che in quei giorni aveva ereditato per competenza il fascicolo dai pm napoletani Woodcock e Carrano, ha chiuso le indagini. Per Tiziano Renzi, indagato per traffico d’influenze illecite, ha chiesto l’archiviazi­one. Invece per gli altri inquisiti eccellenti, cioè per l’ex ministro dello Sport Luca Lotti (favoreggia­mento), l’ex comandante dei Carabinier­i Tullio Del Sette (rivelazion­e di segreto d’ufficio), il comandante dell’Arma tosco-emiliana Emanuele Saltalamac­chia (favoreggia­mento), l’im pre ndi to re Carlo Russo (millantato credito) e l’ad di Publiacqua Filippo Vannoni (favoreggia­mento), intende chiedere il rinvio a giudizio. Così come per l’ex maggiore del Noe Giampaolo Scafarto (falso, rivelazion­e di segreto e depistaggi­o) e l’ex colonnello Alessandro Sessa (depistaggi­o), indagati il primo per aver passato notizie segrete a Lillo (che l’ha sempre negato) e all’Aise e per alcuni errori in un’informativ­a (in buona fede secondo la Cassazione, in mala fade secondo i pm) ed entrambi per aver tentato di sviare le indagini.

Noi, in attesa che il Gup decida, possiamo dire nella massima serenità di aver informato correttame­nte i lettori, con notizie pubbliche e segrete, ma sempre vere. I fatti, a prescinder­e dalle decisioni del gup e poi d al l ’ esito del processo, son quelli che abbiamo raccontato fin dal primo giorno. Anche nel caso in cui Tiziano Renzi fosse davvero archiviato: gli stessi pm lo descrivono come autore di dichiarazi­oni “largamente inattendib­ili”, cioè come un bugiardo matricolat­o, che mentì loro a verbale giurando di non aver mai incontrato l’imprendito­re Romeo, interessat­o all’appaltone Consip. Invece probabilme­nte lo incontrò almeno una volta nel luglio 2015, in un bar di Firenze. Risulta incrociand­o le “ce ll e” degli smartphone dei due. Ed era già chiarissim­o dalle telefonate di Romeo ( che descriveva a Russo l’abbigliame­nto e il carattere di papà Renzi).

Ma anche dalla testimonia­nza dell’ex tesoriere del Pd napoletano Alfredo Mazzei (a cui Romeo aveva raccontato l’incontro, che lui però situò in un’osteria romana anziché nel bar fiorentino). Purtroppo i pm rimuovono quel che accadde subito dopo quel tête-à-tête: Romeo chiamò la sua segretaria per farsi rinfrescar­e la memoria sull’appalto Consip sulle Grandi Stazioni, probabile oggetto del colloquio. Altrimenti non potrebbero salvarlo e considerar­e il suo galoppino Russo come un volgare millantato­re che spendeva il suo nome a destra e a manca senza esserne autorizzat­o. Tesi già traballant­e di suo: prima la stessa Procura ammette che fu proprio papà Tiziano a presentare e raccomanda­re Russo all’ad di Consip Luigi Marroni; poi però conclude che Russo millantava di poter arrivare a Marroni tramite Renzi sr per favorire Romeo, che si bevve tutto senza verificare nulla e, in cambio, gli promise “5mila euro ogni due mesi e 30mila euro al mese asseritame­nte destinati a Renzi” padre. Ma di queste e altre incongruen­ze (vedi pag. 2 - 4), volendo, potrà occuparsi il gup: le richieste di archiviazi­one si possono anche respingere, ordinando nuove indagini o addirittur­a l’imputazion­e coatta.

Qui restano da affrontare gli aspetti politici ed etici dello scandalo. Anzitutto, se ha ragione la Procura di Roma che fa esultare la famiglia di Rignano ed è sempre stata additata come seria, giusta, equilibrat­a al contrario di quella di Napoli, non solo papà Tiziano è un bugiardo. Ma lo è pure suo figlio Matteo, che nelle telefonate private diceva di non credergli (“Non dire bugie, non ti credo”), ma in pubblico giurava sulla sua parola come sul Vangelo. E per quasi due anni ha calunniato il Fatto (nel silenzio delle altre redazioni che ora scoprono la libertà di stampa), chiamandoc­i “Falso quotidiano” e accusandoc­i di campagne diffamator­ie per far cadere il suo governo (che fra l’altro era già caduto da solo). Bene: le sue erano tutte balle, noi abbiamo scritto solo fatti veri. Ora dovrebbe scusarsi e ringraziar­ci per avergli sempre spiegato chi erano suo padre e i suoi amici. Ma lui lo sapeva benissimo: poche settimane dopo le soffiate che avevano rovinato l’inchiesta e che i pm “buoni” attribuisc­ono ai renziani Del Sette, Lotti, Vannoni e Saltalamac­chia, Renzi impose la promozione di Lotti da sottosegre­tario a ministro di Gentiloni e difese a spada tratta Del Sette. Il quale, sebbene indagato, fu rinominato da Mattarella e Gentiloni al vertice dell’Arma che doveva indagare anche su di lui e che lui era accusato di aver tradito per compiacere il Giglio Magico. Anche Vannoni e Saltalamac­chia restarono ai loro posti, mentre il Pd chiese e ottenne la testa di Marroni, non indagato, ma reo di un delitto imperdonab­ile: aveva detto la verità sulle talpe che l’avevano avvertito delle cimici in Consip. I bugiardi e gl’indagati premiati, il testimone attendibil­e cacciato con ignominia, il Fatto che scriveva la verità calunniato. Questa era, secondo la Procura “buona”, la cricca dei Renzi che si era impossessa­ta del governo. Qualunque cosa accada, nessuno la rimpianger­à.

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