Il Fatto Quotidiano

Altra batosta per l’Arma: Del Sette rischia

L’ex comandante generale, confermato da Gentiloni, potrebbe andare a processo

- VAL. PAC.

Èun periodo nero per l’Arma. Dopo che per giorni i giornali hanno titolato sugli ufficiali indagati per i depistaggi sul caso Cucchi, ieri arriva un’altra batosta.

Tra chi rischia il processo nell’ambito dell’indagine Consip c’è l’ex Comandante generale Tullio Del Sette. Confermato dal governo Gentiloni quando già era indagato per favoreggia­mento e rivelazion­e di segreto, è stato il numero uno dei carabinier­i fino a gennaio scorso.

Ora c’è anche lui nell’atto di chiusura indagine (che di norma prelude a una richiesta di rinvio a giudizio) della Procura di Roma. Secondo i pm è tra coloro che rivelarono ai vertici della Consip l’esistenza di un’inchiesta sull’i m- prenditore Alfredo Romeo. Chi lo tira in ballo è l’ex di Consip Luigi Marroni. Dice di aver saputo delle intercetta­zioni anche dall’ex presidente Luigi Ferrara, che a sua volta lo avrebbe saputo da Del Sette.

FERRARA pr ima conferma con i pm di Napoli, poi a Roma ritratta. Quando viene indagato per false informazio­ni ai pm (per lui c’è una richiesta di arch ivi az ion e) raddrizza il tiro: “Non ricordo le parole precise che Del Sette utilizzò, ricordo che io compresi, al termine di tale colloquio e in ragione di quello che mi veniva detto, che ci fosse un’indagine su Romeo”.

Del Sette ha sempre respinto le accuse, ma i pm non devono avergli creduto. Come pure non hanno creduto all’allora suo numero due, il capo di Stato Maggiore, il generale Gaetano Maruccia.

Per i pm, le notizie sull’indagine camminavan­o, come è legittimo, lungo la scala gerarchica. Verso l’alto. A partire da Giampaolo Scafarto e Alessandro Sessa (allora conducevan­o le indagini per il Noe) che informavan­o Maruccia. Ai pm Maruccia dice di non aver riferito nulla al Comandante perchè non c’erano “risultati concreti”. Ma le sue dichiarazi­oni sono ritenute di “scarsa credibilit­à”. Maruccia resta comunque estraneo all’i nchiesta: non ci sono elementi concreti per contestare la falsa testimonia­nza.

Del Sette non è l’unica divisa finita nell'inchiesta. Nell’atto di chiusura indagine c’è anche Emanuele Saltalamac­chia, ora a capo dei carabinier­i del ministero degli Affari esteri. Già Comandante della Legione Toscana, è lo stesso che secondo il sindaco di Rignano sull’Arno, Daniele Lorenzini, partecipò a fine ottobre 2016 ad una grigliata in casa Renzi (Tiziano). “Sentii Saltalamac­chia dire a Tiziano di non parlare al telefono”, dice Lorenzini. Circostanz­a questa non contestata. Saltalamac­chia è infatti indagato solo per aver spifferato l’esistenza di un’indagine su Consip a Marroni.

E POI C’È IL CAPITOLO Scafarto, il carabinier­e del Noe, ora assessore con il sindaco forzista di Castellamm­are di Stabia. Su di lui pendono più accuse. A cominciare dalla rivelazion­e di segreto nei confronti del vicedirett­ore del Fatto, Marco Lillo (che l’ha sempre negato), il quale rivelò l’inchiesta e l’iscrizione di Del Sette e dell’ex ministro Luca Lotti. Per i pm però Scafarto ha anche falsificat­o gli atti, in particolar­e l’informativ­a del 9 gennaio 2017 nei capitoli che riguardava­no i servizi segreti, come pure quando ha attribuito la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato” a Romeo, quando invece era stata pronunciat­a da Bocchino. Errori commessi con dolo per i pm. E poi c’è la rivelazion­e verso l’Aise, per le email con gli atti dell’indagine inviate a ex colleghi andati nei servizi segreti esteri: “Un flusso (...) illecito”, scrivono i pm, anche se “non è stato possibile accertare l’entità completa delle notizie rilevate e l’uso fatto”. Infine Scafarto è accusato, con il colonnello Alessandro Sessa, di depistaggi­o: la colpa è di aver disinstall­ato l’applicazio­ne Whatsapp sul telefonino di Sessa per cancellare le tracce delle loro chat.

Scala gerarchica Per i pm parlò del fascicolo Ma il suo vice Maruccia: “Io non gli ho mai detto nulla”

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Ansa I generali Emanuele Saltalamac­chia e Tullio Del Sette
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Indagati
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