Addio a Caterina, vedova Arpino
“Ordinerò negli anni a venire quello che sei tu, come mi aiuti, mi accompagni, mi ecciti, mi calmi, mi disamori dell’inutile”. Così Giovanni Arpino (1927-1987) scriveva alla moglie Caterina, detta anche Rina, Rinin o Rinot, in una lettera. Il 9 maggio del 1953, poi, le diceva in un’altra corrispondenza ( sono state edite da Nino Aragno), di aver bisogno “che tu fossi qui con me, bella e fresca con una camicia rossa e allegra”.
Caterina Brero Arpino è morta sabato scorso all’età di 87 anni a Bra, la cittadina piemontese dove viveva con il figlio Tommaso e che “Arp” ha raccontato nei suoi libri.
SE N’È ANDATA nel silenzio dei più. Solo un necrologio su La Stampa, il giornale per cui Arpino aveva lavorato, e nemmeno una partecipazione della direzione del quotidiano o della Città di Torino, ritratta magistralmente dal narratore in La suora giovane e Una nuvola d’ira. Erano i romanzi che prediligeva Osvaldo Soriano, suo fraterno amico. Proprio Caterina aveva fatto pubblicare il loro carteggio inedito.
Donna forte e indimenticabile, come certe figure femminili dei libri di “Arp”, da quel dicembre del 1987, quando era morto Giovanni, si è battuta per infrangere l’oblio in cui era caduto il grande narratore. Lo ha fatto con il carattere, la tenacia, della protagonista de La suora giovane, riuscendo a fare ripubblicare i romanzi presso diversi editori, e riportando un po’ di sacrosanta attenzione su uno scrittore messo ai margini perché non si era mai piegato al conformismo (di sinistra, soprattutto) e alle mode. Il critico Giovanni Tesio ha annotato che, per Arpino, l’amore per Rina “sarà sempre il riparo della vita e infine anche il naturale conforto del ‘passo d’addio’”.