I 70 voti segreti chiesti dal Pd per tentare i ribelli del M5S
Il Pd piazza la trappola in aula e “tenta” i franchi tiratori grillini De Falco: “Libertà di coscienza”. Mantero: “No ai mercenari”
Per dirla in gergo – visto il successo delle metafore belliche nel dibattito gialloverde dei giorni nostri – la “battaglia” è rinviata a lunedì, giorno in cui il decreto Sicurezza arriverà a Palazzo Madama per il suo primo passaggio nell’aula del Senato. Ed è lì che gli oppositori del governo proveranno ad alzare la trincea per la truppa – scarna ma decisiva – dei senatori Cinque Stelle che non gradiscono il decreto. Settantuno voti segreti. Tante sono le possibilità – a meno che non arrivi la scure della fiducia – che qualche pezzo della futura legge venga giù.
IL PACCHETTO DI NORME, per lo più dedicate all’immigrazione, su cui Matteo Salvini vuole affiggere il suo nome, come noto, sta funestando le giornate dei “contrattisti” del governo Conte.
Luigi Di Maio, per convincere i cinque senatori che chiedono modifiche al decreto è arrivato a scomodare la testuggine romana. E da un paio di giorni minaccia una assemblea congiunta dei parlamentari che rimetta in riga l’esercito scomposto. Rinviata a data da destinarsi, è l’ultimo aggiornamento, visto che l’esa- me del decreto Genova ha tenuto impegnati fino a sera i deputati del Movimento.
Però, anche senza assemblea, chi è contrario al testo non ha smesso di farlo sapere, soprattutto dopo che l’esame in commissione Affari costituzionali, ieri, si è chiuso con il parere negativo del governo a tutti gli emendamenti non concordati presentati dagli eletti Cinque Stelle.
Così, la richiesta di 71 voti segreti che sarà presentata dai senatori del Partito democratico può diventare l’arma con cui far emergere il dissenso. La possibilità di “schermare” le votazioni è prevista dal regolamento del Senato, visto che una serie di norme del decreto vanno a toccare articoli della Costituzione che riguardano i rapporti civili ed etico-sociali.
GIUSTO A TITOLO esemplificativo: l’ipotesi di trattenimento in centri di permanenza per i rimpatri dei migranti considerati pericolosi per l’ordine pubblico anche in assenza di una sentenza definitiva incide sull’articolo 27 della Carta, secondo cui nessuno è considerato colpevole fino al terzo grado di giudizio. Oppure le nuove norme sulla revoca della cittadinanza insistono sul precetto costituzionale numero 22, che ne vieta la perdita per motivi politici. O ancora, le modifiche al gratuito patrocinio hanno a che vedere con l’articolo 24 e l’inviolabile diritto alla difesa.
COME SI ARRIVERÀ alla prova di lunedì ancora non è chiaro. Salvini ieri ha parlato di una “maggioranza compatta”, ma il suo sottosegretario Nicola Molteni non ha escluso che il governo possa ricorrere alla fiducia. L’aria che tira nella fronda grillina è tutt’altro che serena.
E se Gregorio De Falco auspica “modifiche in aula” e invoca “libertà di coscienza” sui temi etici e civili, Matteo Mantero – solitamente assai cauto – va giù pesante: “Luigi ha usato la metafora della testuggine romana, ma l’Impero Romano è crollato non perché qualche legionario si è sfilato dalla testuggine, ma perché i soldati romani sono stati sostituiti da mercenari. Per avere donne e uomini che combattono per una causa comune e non mercenari è necessario avere valori comuni e un percorso di costruzione collettivo, bisogna aumentare la condivisione e la consapevolezza di quello che sta accadendo. Bisogna aumentare il dialogo e non azzerarlo”.
Immediato il like della collega Elena Fattori. Tace Virginia La Mura che pure è firmataria degli emendamenti. La campana Paola Nugnes, invece, non si sottrae: “Questo governo ha il dovere di portare avanti il programma, che non può essere stravolto e tradito radicalmente come sta avvenendo con questo decreto, anche perché le ripercussioni sulla vita di tutti saranno gravi”.
Lunedì in aula
Il ministro dell’Interno: “Maggioranza compatta”. Ma resta la carta della fiducia