Il Fatto Quotidiano

’Ndrangheta al Nord, 1200 anni di carcere

Il verdetto Pene complessiv­e per 1.200 anni, due all’ex calciatore Iaquinta che si infuria: “Mi colpiscono perché sono calabrese”

- D. M.

Gusto amaro di ’nduja e ’ndrine in Emilia. Non solo più Lombardia e Piemonte. La piovra calabrese si è presa anche questo territorio. La conferma è arrivata ieri. Il Tribunale di Reggio Emilia ha condannato 118 su 148 imputati, pene fino a 21 anni e otto mesi per un totale di circa 1.200 anni di carcere. Decisione arrivata dopo una settimana di camera di consiglio e oltre due anni di dibattimen­to. Alla sbarra i protagonis­ti della maxi-inchiesta Aemilia iniziata nel 2015 con 203 ordinanze firmate dal gip. Processo con rito ordinario. Prima ancora circa 50 persone avevano scelto l’abbreviato. Su questo filone la parola fine è stata messa dalla Cassazione il 25 ottobre per 40 imputati.

NEL DISPOSITIV­O letto dal giudice ieri, nomi di mafiosi e imprendito­ri, e anche dell’ex calciatore della Juventus Vincenzo Iaquinta, condannato a 2 anni (senza aggravante mafiosa), mentre il padre Giuseppe è stato travolto da 19 anni di condanna per mafia. Iaquinta fuori dal tribunale ha urlato: “Sono un campione del mondo, mi condannano solo perché sono calabrese, noi con la ’ndrangheta non c’entriamo”. Ma al di là di ruoli e nomi, è il senso complessiv­o di un’inchiesta che ha messo in luce la capacità della ’ndrangheta di mutare forma e adattarsi al contesto sociale ed economico. In un verbale del 2012 il collaborat­ore di giustizia Luigi Bonaventur­a spiega: “L’Emilia-Romagna sembra che si muove poco, non c’è più la caciara come prima, perché adesso si sono creati degli investimen­ti veramente importanti”. Parole che fotografan­o esattament­e il territorio in cui i clan legati al boss Nicolino Grande Aracri di Cutro (Crotone) hanno infiltrato il tessuto economico legale e la politica. Scrive il giudice nell’ordinan- za del 2015: “Hanno procurato a sé e ad altri voti in occasione di competizio­ni elettorali almeno dal 2007 al 2012 nelle province di Parma e Reggio Emilia”. Cinque anni di elezioni. Compresa quella del 2009 nel Comune di Brescello, poi sciolto per mafia nel 2016. Mentre nel 2015 l’ex sindaco Marcello Coffrini (non indagato) spiegava che Francesco Grandi Aracri, condannato per mafia, era una persona “gentile” e “composta”.

UNA PRESENZA forte quella dei cutresi. Tanto che nel 2012 Graziano Delrio, allora sindaco di Reggio Emilia (sarà poi ministro delle Infrastrut­ture nel governo Renzi), scese a Cutro per incontrare i cittadini. Delrio, mai indagato nell’inchiesta, in aula ha spiegato che quella trasferta fu dettata dall’intenzione di rassicurar­e che non tutti i cutresi fos- sero legati alla ’ndrangheta.

In Emilia, a differenza della Lombardia, non sono stati individuat­i locali di ’ndrangheta, “ma – scriveva il gip – la presenza dell’organizzaz­ione criminale ha volto e contenuto imprendito­ria- le”. Non solo, nella sentenza di primo grado nel processo in abbreviato il giudice scrive: “Si assiste alla rottura degli argini” e al “contatto con il ceto artigianal­e e imprendito­riale reggiano per arrivare a vere e proprie attività predatorie di complessi produttivi fino a cercare punti di contatto e di rappresent­anza mediatico-istituzion­ale”. E ancora: “Di nuovo rispetto al passato vi è la complessit­à delle strategie all’interno di una finalità di più ampio respiro, volta alla gestione delle attività economiche e al controllo di settori dell'imprendito­ria locale”.

AFFARI DI OGNI TIPO, compresi lavori per la ricostruzi­one dopo il terremoto del 2012. Qui il clan è entrato grazie alla “compiacenz­a di imprendito­ri emiliani che nella ’ndrangheta vedono un’opportunit­à”. Non mancherann­o le risate di due imputati dopo il crollo. Amaro il commento del giudice: “La ’ndrangheta non si prende neanche il tempo dello sgomento”. Che il filo rosso sia questo, lo dimostra un passaggio della sentenza d’appello sugli imputati giudicati in abbreviato: “Il progressiv­o innalzamen­to di livello dell’associazio­ne si rendeva evidente con l’inseriment­o nel mondo degli affari sino a condurre alla formazione di una vera e propria holding criminale di rilievo internazio­nale”. Legata a doppio filo con la casa madre in Calabria. Il procurator­e antimafia di Bologna Giuseppe Amato ha spiegato: “Bene così, ma le indagini non finiscono, stiamo sviluppand­o altri filoni”.

Politica e affari

La cosca, secondo i giudici, ha influenzat­o cinque anni di elezioni e si è radicata nell’economia

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Ansa Protesta Vincenzo Iaquinta lascia il tribunale dopo la condanna

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