Il Fatto Quotidiano

Processo Eni, Zingales accusa Descalzi e Scaroni

L’ex membro del cda, che per i vertici “paralizzav­a la società”, si era detto preoccupat­o denunciand­o “il buco significat­ivo della governance”

- » GIANNI BARBACETTO

U n rompiscato­le. Un “poliziotto”. Uno che “paralizza l’azienda”. Così era considerat­o Luigi Zingales, economista, professore a Chicago, da maggio 2014 a luglio 2015 membro del consiglio d’ammi nist razione e del comitato controllo rischi di Eni. Ieri è stato il suo turno, al processone di Milano sulla tangente da 1,092 miliardi di dollari che secondo l’accusa sarebbe stata pagata da Eni e Shell per l’acquisto, nel 2010, della licenza d’esplorazio­ne del campo petrolifer­o Opl-245 in Nigeria. Sentito come testimone, ha raccontato di essersi subito allarmato per le notizie che gli arrivavano sull’affare. “Sapevo che Eni, coinvolta in uno scandalo precedente, aveva dovuto pagare una mul- ta di oltre 300 milioni di dollari alle autorità Usa. Questo era il mio incubo, che la compagnia potesse subire un danno patrimonia­le”. “Notai subito che c’era un intermedia­rio, cosa che era al di fuori delle pratiche di Eni”. Zingales scrive una nota al cda, chiede i documenti, fa domande. Troppe, tanto che Claudio Descalzi – oggi amministra­tore delegato e allora direttore della divisione Exploratio­n e Production, imputato di corruzione internazio­nale nel processo milanese insieme ad altre dodici persone – gli dice che quel suo “interesse, quel fare domande paralizzav­a l’azienda”. L’economista denuncia “un buco significat­ivo della governance”. Espone le sue preoccupaz­ioni, via email, alla presidente Emma Marcegagli­a. Lamenta la mancanza di due diligence sulla società Malabu che era entrata nell’affare. S’ interroga perché Eni avesse trattato con un intermedia­rio, Obi Emeka ( condannato il 20 settembre, con rito abbreviato, a 4 anni per corruzione internazio­nale): “Perché Eni gli dà l’esclusiva nella trattativa, rinunciand­o alla sua libertà contrattua­le, in cambio di niente?”.

Giacimento Opl-245 Il Gruppo e Shell avrebbero versato una tangente per l'acquisizio­ne nel 2011

NESSUNO GLI DICE BRAVO. Anzi, attorno a lui si fa il vuoto. S’incrinano i rapporti con Massimo Mantovani, allora responsabi­le dell’ufficio legale Eni (oggi indagato nell’inchiesta milanese sul presunto “complotto” per depistare le indagini). E l’allora ad Paolo Scaroni (oggi imputato anch’egli nel processo Opl-245) comunica al cda e a una commission­e parlamenta­re che un report realizzato dalla società Risk Advisory Group “non aveva riscontrat­o alcuna evidenza che il nigeriano Dan Etete partecipas­se al capitale sociale di Malabu”. Comunicazi­one falsa, perché in realtà il report aggiungeva che varie fonti in Nigeria sostenevan­o che dietro Malabu ci fosse proprio Dan Etete, l’ex ministro nigeriano del petrolio. Troppo rischioso un primo schema, che prevedeva di pagare direttamen­te Malabu, Eni e Shell nel 2011 versano oltre 1 miliardo di dollari su un conto del governo nigeriano. “Un affare con il preservati­vo”, scrive l’Economist: poi i soldi vanno comunque agli uomini di Etete e a politici nigeriani. Nel 2015 Zingales, capito che non è aria, lascia il cda Eni.

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Ansa/LaPresse I duellanti Luigi Zingales e Claudio Descalzi
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