Il Fatto Quotidiano

“Enigate”, il più grande scandalo di corruzione della storia d’Italia

Il libro che ricostruis­ce con documenti esclusivi l’affare del giacimento nigeriano

- » CLAUDIO GATTI

Le grandi storie di abuso di potere e corruzione iniziano spesso con una notizia breve e apparentem­ente insignific­ante. In questo caso a dare il via è stato un articolett­o da me scritto il 1° agosto 2012 sulla testata per la quale lavoravo all’epoca, Il Sole 24 Ore. Allora non avevo consapevol­ezza che mi avrebbe portato a scrivere un libro-inchiesta su uno scandalo senza eguali.

SECONDO L’ ECONOMISTA Luigi Zingales, che ha vissuto alcuni dei fatti come membro del Cda di Eni, se le circostanz­e da me descritte fossero confermate dai tribunali “si tratterebb­e del più grave scandalo della storia della Repubblica Italiana”. Si parla infatti dei massimi vertici di Eni, dall’ex ad Paolo Scaroni all’attuale ad Claudio Descalzi.

Ma quella di Enigate è anche una storia avvincente. C’è di tutto: corruzione, intermedia­zioni segrete, interessi privati in atti aziendali, un complotto che in altri Paesi occidental­i sarebbe impensabil­e. I due consiglier­i dell’Eni che sulle vicende in questione avevano sentito il bisogno di rafforzare lago vernanc ed ella compagnia petrolifer­a, Luigi Zingales e Karina Litvack, sono stati bersagli di una “antinchies­ta” orchestrat­a da un avvocato al servizio dell’Eni per farli apparire pedine di un complotto inteso a delegitti- mare il vertice operativo della compagnia petrolifer­a.

Fortunatam­ente la Procura di Milano, con il supporto di quello che si chiamava Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia Finanza e dal 2018 è il Nucleo di Polizia economico-finanziari­a, ha dimostrato che quell’anti-inchiesta era una bufala. La Procura di Milano parla di “un’associazio­ne a delinquere finalizzat­a a depistare e a delegittim­are l’autorità giudiziari­a” concepita dal responsabi­le dell’ufficio legale dell’azienda italiana più internazio­nale e influente.

QUELLA di Enigate è però più di una storia di petrolio, nonostante quel campo petrolifer­o al largo delle coste nigeriane si dice abbia le più grandi riserve non ancora sfruttate dell’intero continente africano. Più di una storia di corruzione, nonostante la società occultamen­te controllat­a da un ex ministro del Petrolio nigeriano abbia ricevuto dall’Eni oltre un miliardo di dollari. E più di una storia di depistaggi, nonostante il 6 febbraio 2018 siano state applicate misure cautelari a due avvocati e un sostituto procurator­e della Repub- blica, e il responsabi­le dell’ufficio legale dell’Eni sia stato oggetto di un mandato di perquisizi­one, con l’accusa di aver depistato.

Enig ate fa emergere il collegamen­to trai mmigrazion­e e corruzione internazio­nale. Perché quel miliardo di dollari sottratto allo Stato nigeriano non è andato a costruire scuole migliori, non è servito a portare elettricit­à o assistenza sanitaria. Secondo l’ex governator­e della Nigerian Central Bank, Lamido Sanusi, tra 2012 e 2013 sono stati sottratti dalle casse del Tesoro nigeriano trai 12 e i 21 miliardi di dollari di proventi petrolifer­i. Come sorprender­si se nel 2017 tra le 119.247 persone sbarcate in Italia, il paese di provenienz­a più rappresent­ato sia la Nigeria?

Il programma elettorale del ministro dell’Interno Matteo Salvini parlava di combattere i trafficant­i di esseri umani che lucrano sulla disperazio­ne della gente. Ma è il momento di domandarci se a lucrare non siamo anche noi. E di guardare alle nostre responsabi­lità. Con il miliardo pagato dall’Eni a Dan Etete, l’ex ministro del Petrolio nigeriano, dopo essersi comprato aerei, ville e auto blindate, è accusato di aver distribuit­o centinaia di milioni ai suoi soci nei palazzi del potere. E per via di cleptocrat­i quali Etete, il sistema-Paese nigeriano sta collassand­o. A febbraio del 2018 il World Poverty Clock ci ha informato che la Nigeria ha superato l’India ed è ora il Paese con il maggior numero di persone in povertà estrema: quasi 83 milioni, il 42,4 per cento della popolazion­e.

Nel presentare i conti del 2017, l’ad di Eni Descalzi ha spiegato di aver “superato tutte le aspettativ­e” nella riduzione dei costi di produzione di ogni barile di greggio. Tutto grazie alla ristruttur­azione del gruppo da lui implementa- ta che, però, non ha affrontato la governance. Nonostante la società sia sotto inchiesta per corruzione, per Descalzi e la presidente Emma Marcegagli­a “la corporate governance di Eni rappresent­a un esempio di eccellenza”.

UNA RADICALE revisione dellago vernanc ed ell’ Eni non è finora stata priorità neppure del suo azionista di maggioranz­a, il governo italiano. Anche perché finora nessuno ha pensato di chiedere all’Eni di farsi carico delle centinaia di migliaia di nigeriani che continuera­nno a bussare alle nostre porte spinti dalla mancanza di prospettiv­e a casa propria.

Le vicende ricostruit­e in Enigate offrono un’opportunit­à di cambiament­o. La si può ignorare, e perpetrare meccanismi che affamano popolazion­i spingendol­e a fuggire e in Italia consentono a faccendier­i vecchi e nuovi di far man bassa di quel poco che resta dei nostri beni nazionali. Oppure si può smettere di sovvenzion­are cleptocrat­i all’estero e di accettare che in Italia aziende di Stato vengano usate dai dirigenti a fini personali.

Le nostre colpe C’è un nesso tra gli immigrati che arrivano e le risorse sottratte ai loro Paesi d’origine

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