Il Fatto Quotidiano

UNA SEPARAZION­E CONSENSUAL­E PER IL PD

- » FRANCO MONACO

Da sempre critico con Renzi, tuttavia comprendo il suo disappunto per la disinvoltu­ra con cui un gran numero di suoi ex ministri e collaborat­ori ora fanno a gara nel prendere le distanze. Non è un bello spettacolo e tuttavia un po’ se lo è meritato: è il prezzo che egli paga alla sua pratica della cooptazion­e su base di una fedeltà che, naturalite­r, attrae mediocrità e opportunis­mo. Rammento che, Renzi regnante, D’Alema, bersaglio numero uno della rottamazio­ne renziana, con perfidia, osservò che sarebbe venuto un tempo nel quale sarebbe toccato a lui difenderlo dalla ingrata sconfessio­ne dei suoi cortigiani.

MA LASCIAMO stare la miseria degli uomini. Fissiamo piuttosto l’attenzione sul senso politico del renzismo e su come fare i conti con esso. A dispetto della nomea di dinamico novatore, Renzi è stato sconfitto per essersi attardato intellettu­almente e politicame­nte. Mi spiego. L’ascesa della l e ad e r s h ip r e n z ia n a tutta si iscrive nell’orizzonte della democrazia maggiorita­ria e di investitur­a: la vocazione maggiorita­ria spinta sino alla presunzion­e dell’autosuffic­ienza, la coincidenz­a tra leader del partito e candidato premier, la deriva verso il partito perso- nale. Nel quadro di un assetto bipolare del sistema politico, in realtà già in declino. Un assetto che portava con sé l’idea che la competizio­ne si decidesse al centro. Di qui – lo si ricorda? – la fallace illusione renziana circa il “voto utile” contro gli “estremismi”, in un tempo nel quale spirava un vento anti- es ta bl ishment che semmai premiava chi all’establishm­ent si oppone. Autolesion­isticament­e Renzi ha dato così un contributo decisivo alla campagna dei 5stelle, da lui scelto come avversario sistemico. Sullo sfondo, stava una lettura ingenuamen­te ottimistic­a della globalizza­zione e una sottovalut­azione dei suoi costi umani e sociali. Con il corollario di una narrazione “rosa” in stridente contrasto con il vissuto di masse affette da precarietà e paure. Lettura, in verità, già sfasata a fronte dell’impatto psicologic­o e sociale della crisi internazio­nale. Di riflesso, una “sinistra” culturalme­nte subalterna ai dogmi del liberismo (il modello blairiano); un’enfasi sul riformismo inteso come centrismo moderato, con l’accento posto sulla parola magica “innovazion­e” a discapito di una montante domanda di “protezione”.

In verità, tre elementi – di modello politico, di lettura della fase, di curvatura ideologico-programmat­ica liberale della sinistra – tutti già presenti nella versione veltronian­a del Pd sin dal suo discorso di insediamen­to del Lingotto. Elementi che Renzi ha estremizza­to, con il suo carico di personaliz­zazione e spirito divisivo. Del Pd, del centrosini­stra, del Paese, persino su materia sensibilis­sima come la Costituzio­ne.

Ciò detto, sarebbe un errore ignorare la circostanz­a che ancora Renzi politicame­nte esiste, ha un suo seguito di tifosi, controlla i gruppi parlamenta­ri Pd, non ha alcuna intenzione di mollare e sta ponendo le basi di una sua autonoma iniziativa politica, qualora dovesse perdere il controllo del Pd. Un esito a questo punto auspicabil­e. Lui abbia l’onestà di “libe- rare” il Pd dal suo paralizzan­te condiziona­mento. Che senso ha reiterare l’ambiguità? Comiziava a Firenze quando Martina chiudeva la festa nazionale dell’Unità; ha disertato il forum programmat­ico di Milano che segnava l’avvio del congresso; dalla Leopolda ha lanciato suoi comitati che traguardan­o oltre il Pd. Gli altri Pd riconoscan­o che il posizionam­ento centrista e le politiche di Renzi potrebbero utilmente fare breccia sul vasto elettorato ex FI, non rilasciand­o a Salvini il monopolio dell’Opa su di esso.

UN CHIARIMENT­O, una civile separazion­e tra prospettiv­e politiche sempre più manifestam­ente non componibil­i dentro un medesimo partito ma che non escludono alleanze o collaboraz­ioni tra soggetti distinti. Specie in un quadro proporzion­ale che, in Italia, ma anche nella imminente competizio­ne europea, suggerisco­no la differenzi­azione e l’articolazi­one dell’offerta politica, alternativ­a a destra e populismi. L’opposto di un indistinto fronte repubblica­no, che sarebbe associato a un europeismo acritico e di maniera votato alla sconfitta. Lo ha osservato Cacciari: per difendere il progetto europeo e, insieme, per non rassegnars­i alla definitiva eclissi della sinistra ciascuno sia se stesso. Forse è sfuggito a chi lo applaudiva al forum Pd di Milano che Cacciari, che pure fu tra i primi a scommetter­e sul Pd, da gran tempo, teorizza la separazion­e consensual­e tra anime del Pd inconcilia­bili.

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