UNA SEPARAZIONE CONSENSUALE PER IL PD
Da sempre critico con Renzi, tuttavia comprendo il suo disappunto per la disinvoltura con cui un gran numero di suoi ex ministri e collaboratori ora fanno a gara nel prendere le distanze. Non è un bello spettacolo e tuttavia un po’ se lo è meritato: è il prezzo che egli paga alla sua pratica della cooptazione su base di una fedeltà che, naturaliter, attrae mediocrità e opportunismo. Rammento che, Renzi regnante, D’Alema, bersaglio numero uno della rottamazione renziana, con perfidia, osservò che sarebbe venuto un tempo nel quale sarebbe toccato a lui difenderlo dalla ingrata sconfessione dei suoi cortigiani.
MA LASCIAMO stare la miseria degli uomini. Fissiamo piuttosto l’attenzione sul senso politico del renzismo e su come fare i conti con esso. A dispetto della nomea di dinamico novatore, Renzi è stato sconfitto per essersi attardato intellettualmente e politicamente. Mi spiego. L’ascesa della l e ad e r s h ip r e n z ia n a tutta si iscrive nell’orizzonte della democrazia maggioritaria e di investitura: la vocazione maggioritaria spinta sino alla presunzione dell’autosufficienza, la coincidenza tra leader del partito e candidato premier, la deriva verso il partito perso- nale. Nel quadro di un assetto bipolare del sistema politico, in realtà già in declino. Un assetto che portava con sé l’idea che la competizione si decidesse al centro. Di qui – lo si ricorda? – la fallace illusione renziana circa il “voto utile” contro gli “estremismi”, in un tempo nel quale spirava un vento anti- es ta bl ishment che semmai premiava chi all’establishment si oppone. Autolesionisticamente Renzi ha dato così un contributo decisivo alla campagna dei 5stelle, da lui scelto come avversario sistemico. Sullo sfondo, stava una lettura ingenuamente ottimistica della globalizzazione e una sottovalutazione dei suoi costi umani e sociali. Con il corollario di una narrazione “rosa” in stridente contrasto con il vissuto di masse affette da precarietà e paure. Lettura, in verità, già sfasata a fronte dell’impatto psicologico e sociale della crisi internazionale. Di riflesso, una “sinistra” culturalmente subalterna ai dogmi del liberismo (il modello blairiano); un’enfasi sul riformismo inteso come centrismo moderato, con l’accento posto sulla parola magica “innovazione” a discapito di una montante domanda di “protezione”.
In verità, tre elementi – di modello politico, di lettura della fase, di curvatura ideologico-programmatica liberale della sinistra – tutti già presenti nella versione veltroniana del Pd sin dal suo discorso di insediamento del Lingotto. Elementi che Renzi ha estremizzato, con il suo carico di personalizzazione e spirito divisivo. Del Pd, del centrosinistra, del Paese, persino su materia sensibilissima come la Costituzione.
Ciò detto, sarebbe un errore ignorare la circostanza che ancora Renzi politicamente esiste, ha un suo seguito di tifosi, controlla i gruppi parlamentari Pd, non ha alcuna intenzione di mollare e sta ponendo le basi di una sua autonoma iniziativa politica, qualora dovesse perdere il controllo del Pd. Un esito a questo punto auspicabile. Lui abbia l’onestà di “libe- rare” il Pd dal suo paralizzante condizionamento. Che senso ha reiterare l’ambiguità? Comiziava a Firenze quando Martina chiudeva la festa nazionale dell’Unità; ha disertato il forum programmatico di Milano che segnava l’avvio del congresso; dalla Leopolda ha lanciato suoi comitati che traguardano oltre il Pd. Gli altri Pd riconoscano che il posizionamento centrista e le politiche di Renzi potrebbero utilmente fare breccia sul vasto elettorato ex FI, non rilasciando a Salvini il monopolio dell’Opa su di esso.
UN CHIARIMENTO, una civile separazione tra prospettive politiche sempre più manifestamente non componibili dentro un medesimo partito ma che non escludono alleanze o collaborazioni tra soggetti distinti. Specie in un quadro proporzionale che, in Italia, ma anche nella imminente competizione europea, suggeriscono la differenziazione e l’articolazione dell’offerta politica, alternativa a destra e populismi. L’opposto di un indistinto fronte repubblicano, che sarebbe associato a un europeismo acritico e di maniera votato alla sconfitta. Lo ha osservato Cacciari: per difendere il progetto europeo e, insieme, per non rassegnarsi alla definitiva eclissi della sinistra ciascuno sia se stesso. Forse è sfuggito a chi lo applaudiva al forum Pd di Milano che Cacciari, che pure fu tra i primi a scommettere sul Pd, da gran tempo, teorizza la separazione consensuale tra anime del Pd inconciliabili.