“Uccide la suocera per una bistecca” I vegani e le bufale
amma non fare il ragù o ti accoltello: condannata la figlia vegana”. Il titolo della Gazzetta di Modena è di quelli ghiotti. Tutti, dal Corriere a Repubblica al Messaggero, ci si fiondano. Qualcuno – Blasting news, piattaforma acchiappa-clic – azzarda: “Sugo di carne mortale: figlia vegana minaccia con un coltello la madre/VIDEO”. Clicco sul video, richiamato a caratteri cubitali, e dopo due pubblicità capisco che ci sono solo foto di archivio su didascalie striminzite, che ribadiscono sempre lo stesso concetto: “A Modena una madre ha rischiato la vita per un piatto di pasta al ragù”. E così intanto il mio clic gliel’ho regalato. La storia inizia nel 2016 ma la notizia è che, tre giorni fa, il giudice di pace di Modena, Nadia Trifirò, ha condannato una delle due parti in causa, la figlia in questo caso, a pagare una multa di 400 euro e 500 euro di ammenda, per le minacce rivolte alla madre.
“Le liti riguardavano la convivenza fra le due, l’episodio del ragù che ha spinto la mamma a denunciare era solo la punta di un iceberg”. A parlare è l’avvocato della madre, che mi chiede però di non essere citato. “Ho fatto processi molto più importanti di questo, non capisco tutto questo clamore mediatico. Quanti processi risolti davanti a un giudice di pace vede finire sui giornali?”, mi chiede. Ma soprattutto, quello che sarebbe dovuto emergere riguarda altro. E cioè che la figlia, 47 anni, era dovuta tornare a vivere dalla madre, dopo che aveva perso il lavoro. Una casa popolare di 70 metri quadri, con una stanza sola. La madre era costretta a dormire in salotto. E il caso era già attenzionato dai servizi sociali. “Per la madre è stato doloroso denunciare, ma era una situazione che andava avanti da tanto. Si tratta di un dramma familiare legato alle difficoltà della convivenza”, mi spiega l’avvocato, “ma che nulla c’entrano con le abitudini alimentari della figlia, che la madre infatti non ha mai contestato”. Però i titoli dei giornali vertono su questo. “Ma guardi che io ho spiegato ai suoi colleghi quello che sto raccontando a lei. Dietro una notizia che può sembrare divertente c’è il disagio di una famiglia che è dovuta ricorrere a un giudice. Ma serve a poco, visto che continuano a convivere nella stessa casa. Al massimo la sentenza può essere usata per sollecitare gli assistenti sociali ad aiutarle. La figlia è ancora disoccupata. Ma se trovasse un lavoro potrebbe magari permettersi un alloggio”.
Di casi come questo sono pieni gli archivi. Due anni fa (forse c’era del tofu avariato in circolazione?) Il Giornaletitolava: “Vegetariano uccide la madre a coltellate per un pezzo di carne in frigo”. Andando a indagare, si scopre però che la vera storia del figlio vegetariano emerge dal verbale d’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto. Cleto Daniel Tolpeit davanti ai carabinieri dichiara di aver aperto il frigorifero e notando un wurstel, lui che è vegetariano, chiede alla madre se glielo volesse dare da mangiare. La madre risponde di sì e a quel punto Tolpeit gli sferra 27 coltellate. Quello che non viene raccontato è che, subito dopo, l’omicida invita il nipote di 14 anni a vedere la sua ultima “opera d’arte”, e cioè il cadavere della nonna. Poi chiama il 112 e dichiara di aver appena ucciso la madre. La pattuglia che accorre immediatamente sul posto si trova il cadavere dell’anziana signora con il coltello ancora piantato nel volto trapassato da una parte all’altra. Cleto Daniel Tolpeit si considerava veramente un artista. Ma era anche un tossicodipendente, alcolizzato e come risulta dalla sentenza del Tribunale di Bolzano del marzo 2017, “del tutto incapace di intendere e volere” perché affetto da disturbo schizoide di personalità. Insomma, in questo quadro, l’essere vegetariano ha la stessa valenza di essere biondo o basso. Per questo il giudice ha deciso di assolvere Tolpeit e di escludere l’aggravante dei futili motivi, e cioè del ritrovamento del wurstel in frigorifero che avrebbe scatenato la sua ira, perché il matricida ha agito “totalmente spinto dalla propria patologia”. E infatti Tolpeit oggi non è in una clinica per disturbi alimentari in quanto vegetariano, ma condannato al ricovero in Rems, gli attuali ospedali psichiatrici giudiziari, per 16 anni.
“A tavola con la mia famiglia non uccido nessuno, nemmeno il mio babbo che è un cacciatore per passione”
Questi i casi limite, su cui i media si buttano a capofitto perché intravedono potenziali acchiappa-clic. Ma i casi di vegani che portano all’estremo la loro scelta esistono, eccome. Ho conosciuto una famiglia vegana che non partecipa più al pranzo di Natale con i parenti. Mamma e papà, infatti, non accettano che nei piatti in tavola ci siano animali. “Gli stessi che noi salviamo dai macelli e che accudiamo come parte della famiglia”, mi hanno