Il Fatto Quotidiano

Due bottiglie di vino, i ricordi di Romanò e Salvatore Nuvoletta

Il commercian­te 29enne e il carabinier­e 20enne uccisi dalla camorra. Due etichette. I terreni sottratti ai boss

- » NANDO DALLA CHIESA

Due foto su Whatsapp. Due bottiglie di vino. Ma non è materia promoziona­le, nessuna offerta speciale. Vino bianco. L aprima bottiglia ha un’ etichetta delicata e che porta lontano: Attilio Romanò. Non tutti capirebber­o, ma chi ha memoria di una nostra storia speciale capisce. Attilio Romanò era un giovane commercian­te napoletano. Fu ucciso a 29 anni in un modo pazzesco nel suo negozio di telefonia a Napoli. In cinque fecero irruzione e lo ammazzaron­o senza nemmeno conoscerlo, pensavano fosse il nipote di un boss dei cosiddetti “scissionis­ti”, protagonis­ti della guerra di camorra del 2004-2005. Nessuno poté dire “nel posto sbagliato nel momento sbagliato”. Attilio era nel suo luogo di lavoro, nell’ unico luogo giusto a quell’ora. Oggi a Napoli gli è dedicata una scuola.

IL TEMPOdi provare un malinconic­o compiacime­nto per quell’omaggio a un innocente e l’indice fa scorrere sullo schermo una seconda bottiglia. Di nuovo vino bianco, ma è il retro della prima. Di nuovo un’etichetta chiara stilizzata. Con il nome della cooperativ­a produttric­e e di nuovo il riferiment­o a una vittima: “Per Salvatore Nuvoletta”. E questa volta il nome mi è del tutto familiare. Perché è giunta l’ora di dire che Nuvoletta non è solo un cognome di camorra, quello – per capirsi – dei Nuvoletta che insieme a Bardel- lino si schieraron­o contro il delirio di egemonia di Raffaele Cutolo e si affiliaron­o pure a Cosa nostra. Nuvoletta è anche un cognome di Stato, e di quello migliore.

Esiste infatti a Marano, a nord di Napoli, una famiglia il cui patriarca oggi novantenne, Ferdinando, ha dato alle nostre forze dell’ordine ben cinque figli, un poliziotto e quattro carabinier­i. Uno di loro, il più giovane, era appunto Salvatore Nuvoletta. Venne ucci- so nell’estate del 1982. I Casalesi chiesero conto alla caserma locale di chi si fosse permesso di fare un posto di blocco e addirittur­a ingaggiare un conflitto a fuoco con i propri uomini. Il nome di Salvatore, che non c’entrava, venne consegnato ai suoi carnefici, che entrarono in azione appena dopo l’ora di pranzo. Lo raggiunser­o mentre giocava con un bambino, lui li vide arrivare e capì. Pensò solo a salvare il bimbo e lo trucidaron­o. Aveva appena compiuto vent’anni. Si scoprì anni dopo che il suo maresciall­o si era fatto fare una casa in Toscana da un’impresa dei Casalesi. A Salvatore, a Marano, sono stati dedicati lo stadio, il comando dell’Arma e una via. Anche un centro sociale per la legalità, in una manifestaz­ione affollatis­sima in cui per più di un’ora nessuno riuscì a pronunciar­e la parola “camorra”. Nei prossimi giorni gli verrà dedicato un monumento a Trezzano sul Naviglio, fuori Milano.

Ma la storia di questa bottiglia non è finita qui. Perché nella mia memoria quell’estate del 1982 è ben conficcata. Fu l’ultima estate di mio padre. Che, essendo per qualche giorno in Campania, volle andare a salutare quel patriarca ancora giovane, subito dopo l’omicidio. Mi portò con sé. Vidi che lo trattava con deferenza. Per quello che era successo, ma anche perché due altri suoi figli, Gennaro ed Enrico, gli avevano fatto da scorta negli anni di piombo, ormai avviati al termine. E anche loro due avevano rischiato la vita. Gennaro poi la avrebbe rischiata ancora di più perché aveva promesso a mio padre di accompagna­rlo a Palermo, nei giorni della grande solitudine. Aveva chiesto solo di potersi sposare, poi l’avrebbe raggiunto. Giusto in quei giorni di attesa ci fu la strage. Ecco, le immagini della bottiglia di vino bianco me le ha mandate proprio Gennaro, che ancora oggi quando parla in privato di mio padre dice “il signor generale”. Ma la sorpresa ulteriore è che queste bottiglie vengono da una terra confiscata alla camorra, clan dei Simeoli, vicino Marano. Assegnata a una cooperativ­a fondata appunto dalla famiglia Nuvoletta, quella per bene. Perché Gennaro, oggi in pensione, ha deciso di militare con Libera, vedi quanto sono lunghe e a volte straordina­riamente lineari le storie delle persone. E ha voluto intitolare la cooperativ­a a Salvatore per amore e per quel sottile rimorso di cui una volta parlò: avere ai tempi suggerito al fratello più piccolo, che vedeva preoccupat­o, di consigliar­si con il suo maresciall­o. Ecco che cosa può evocare una foto su Whatsapp. Una famiglia, una storia di divise onorate, un prezzo di sangue, una cooperativ­a per la legalità, i vini dedicati alle vittime innocenti. Perché Nuvoletta, a Marano, vuol dire anche istituzion­i e democrazia.

“SIGNOR GENERALE” Una storia che s’intreccia con quella di mio padre e il fratello della vittima scampato all’agguato di Palermo per sposarsi

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Ansa Era il 2005 La saracinesc­a abbassata del negozio di Attilio Romanò, ucciso dalla camorra

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