Il Fatto Quotidiano

Ripensatec­i, il Giro senza il Sud è uno scempio e un tradimento

CICILISMO È lo sport popolare per eccellenza, non si può assistere a una corsa rosa dimezzata che taglia in due il Paese raggiungen­do appena San Giovanni Rotondo

- » ANTONELLO CAPORALE

La bici è la nostra compagna di vita. Ci ricorda l’infanzia e ancora a tanti fa venire in mente la fatica. Quanti sono andati al lavoro e ancora vanno con la bici? Pedalare, si dice per illustrare oltre ogni misura che serve il sudore, l’impegno, la resistenza. Il ciclismo è perciò lo sport più vicino all’animo popolare, perché composto della capacità del nostro corpo di rispondere anche alle sfide più grandi, più impegnativ­e, anche più rischiose per la salute (e le cattive e continue storie di doping stanno lì a dimostrarc­elo).

SI VA ALLA CORSA ma senza obbligo di comprare il biglietto. Il ciclismo è l’unico sport popolare che non preveda ticket d’ingresso. Si va alla corsa senza necessità di odiare, contestare, senza un nemico insomma. La bici unisce e non divide. Perciò esistono eventi sportivi così grandi che hanno unito l’Italia e l’hanno difesa anche nei momenti più bui della storia repubblica­na, come l’attentato a Togliatti. Fu il mitico Bartali a salvare l’Italia dalla guerra civile vincendo il Tour. E la corsa più amata, più influente, più partecipat­a, ha sempre legato la sua storia a quella del Paese, e ha fatto scendere in strada gli italiani, tutti gli italiani. Del Nord e del Sud.

Assistere oggi a un Giro che si dimezza, per via degli affari che incombono e indicano le tappe giuste e quelle sbagliate, è prima che una delusione una sconfitta. Vedere il prossimo Giro, 102esima edizione, che neanche tocca il Sud, raggiungen­do a malapena San Giovanni Rotondo e poi deviando verso il Tirreno, verso Terracina, è il segno di un Paese spezzato, diviso, che neanche si riconosce più. Già la distanza tra Nord e Sud va incredibil­mente allargando­si, con un Mezzogiorn­o che si spopola e dimagrisce fino a divenire scheletric­o, raggiungen­do il punto più basso della sua decrescita infelice: non c’è area in Europa più spopolata, più grande e più depressa che questa.

Sapere oggi che anche lo sport, e tra le discipline popolari quello più festoso, connettivo, proletario, com’è il ciclismo, separa i destini, rende esatta la profondità della divisione, non più solo economica e sociale, ma anche civile e culturale. È vero che le vette più impegnativ­e, quelle più importanti, le salite leggendari­e sono quelle alpine, come il Mortirolo, sono marchi di fabbrica di questo sport. E nessuno ha voglia di togliere alle Alpi ciò che è suo, e a chi le scala l’onore che merita. Ma come si fa a non vedere che il Giro d’Italia se diviene Giro della Padania riduce il senso della sua stessa storia? Come si fa a non capire che i soldi, pure importanti, e gli ingaggi che i corridori (tutti profession­isti) giustament­e pretendono, non possono uccidere il significat­o di questa magnifica prova individual­e e di gruppo.

NEGLI ANNI SCORSIil Giro ha preso il via addirittur­a in terra straniera grazie alla forza della sua reputazion­e, perché resta una delle tre grandi corse a tappe, appena dopo il Tour de France e prima della Vuelta spagnola, conosciute e applaudite. Dimenticar­e la metà dell’Italia sistemata sotto al Garigliano non è già più un’offesa: è tradimento.

 ?? Ansa ?? Nazione su due ruote Nella foto Gino Bartali (1914-2000) in una gara del 1952
Ansa Nazione su due ruote Nella foto Gino Bartali (1914-2000) in una gara del 1952
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy