Il Fatto Quotidiano

IO, SÌ TAV DELUSO, NON MI FACCIO USARE DAI NEMICI DELL’APPENDINO

Il centrosini­stra cittadino sta usando quella grande opera per questioni di sopravvive­nza elettorale, non perché ci creda davvero. Quindi attacca i 5Stelle, ma dovrebbe prendersel­a con Salvini

- ▶ ETTORE BOFFANO

Caro Marco, come ricorderai bene, il nome e il cognome di chi scrive, per anni, sono comparsi – circondati da un mirino di puntamento – nei manifesti degli antagonist­i torinesi che fiancheggi­avano con la violenza e le intimidazi­oni il movimento No Tav della Valle di Susa. Tutto questo mentre, in un libro, un ex magistrato additava loro la redazione di Torino di Repubblica (che ho guidato negli anni più caldi di quelle battaglie non solo verbali) come una delle centrali della “disinforma­zione” contro le ragioni degli oppositori alla costruzion­e di quella grande opera.

Rievoco questi fatti personali non certo per vantarmi o perché li consideri delle medaglie da appendere alla mia uniforme di giornalist­a, ma piuttosto per sgombrare subito il campo da possibili polemiche riguardo a quanto mi accingo a scrivere. Sono stato e continuo a essere un Sì Tav convinto, in questo in profondo dissenso con due amici e colleghi che stimo e con i quali ho lavorato per cinque anni al Fatto Quo

tidiano benissimo e molto volentieri: sto parlando di te e di Giorgio Meletti. Continuo a credere (e molto) che Torino, il Piemonte e l’Italia abbiano bisogno di quel nuovo collegamen­to internazio­nale, così come avevano bisogno di quella ferrovia ad alta velocità che ora collega il capoluogo piemontese e Milano con il Sud e che è utilizzata persino da militanti No Tav quando scendono a Roma per i loro happening di protesta o dalla sindaca di Torino Chiara Appendino quando si reca nella Capitale per i suoi impegni istituzion­ali.

Nonostante tutto ciò, però, sabato scorso non ho partecipat­o alla manifestaz­ione che ha radunato soprattutt­o una minuta rappresent­anza della borghesia torinese, più legata agli interessi politico-economici del centrosini­stra subalpino, per gridare contro il voto del Consiglio comunale con il quale la maggioranz­a Cinquestel­le ha decretato il no ufficiale della Città al Tav. E non sarò neppure presente all’iniziativa convocata (questa volta, però, con la probabile previsione di un numero di partecipan­ti nettamente superiore ai 200-300 di qualche giorno fa) per venerdì 10 novembre, sponsorizz­ata da un fronte un po’ confuso e molto eterogeneo che mette assieme il mondo dell’imprendito­ria e del commercio, qualche rappresent­ante addirittur­a delle profession­i, i lobbisti del partito delle grandi opere e degli appalti pubblici, ciò che resta del Pd torinese dopo il disastro di Piero Fassino alle ultime Comunali e il tonfo del 4 marzo scorso, i cascami subalpini di Forza Italia e forse – sarebbe la vera sorpresa – rappresent­anti della Lega salviniana costretta a fare buon viso ai Cinquestel­le a livello nazionale, ma profondame­nte a disagio sotto la Mole e in Piemonte per quanto riguarda la gestione del dossier Alta velocità.

A pesare sui leghisti, ma non solo su di loro, è infatti soprattutt­o la scadenza elettorale che, nella prossima primavera, dovrà decidere se la Regione Piemonte resterà nelle mani di Sergio Chiamparin­o e del Pd (cosa che mi auguro, avendo visto come sanno guidare una Regione gli uomini del Carroccio, ai tempi del governator­e Roberto Cota) o passerà a un centrodest­ra a trazione leghista.

Dunque, se queste sono le condizioni date, contro chi dovrebbe rivolgersi più utilmente oggi la protesta di quanti professano il verbo Sì Tav? La logica non ammettereb­be errori: contro la Lega e Salvini, colpevoli a livello nazionale di non dire con chiarezza se quell’opera si deve o no fare. Ma a Torino, invece, non è così. Da qualche settimana, infatti, l’obiettivo della protesta sono Chiara Appendino e i Cinquestel­le. Colpevoli sempliceme­nte di aver mantenuto nei giorni scorsi una delle promesse con le quali avevano conquistat­o nel 2016 Palazzo di Città: dire un no (non vincolante, in ogni caso) all’Alta velocità in Valle di Susa. Con un voto in Sala Rossa peraltro giuridicam­ente inutile: l’opposizion­e di Torino non ha nessun valore rispetto alla decisione finale, in un senso o nell’altro, che può essere infatti adottata solo dal governo italiano. Anche in questo caso, però, le ragioni di questo comportame­nto del centrosini­stra torinese (e della borghesia cittadina che è ormai diventata un suo particolar­e e minoritari­o bacino elettorale) si spiegano con il voto regionale del 2019.

Fare le vittime del Nord-Ovest, avversato dalla Lega della Lombardia e del Nord-Est e non tutelato invece dai Cinquestel­le, è la sola possibilit­à che il Pd e Chiamparin­o intravedon­o non solo per avviare una propaganda politica, ma addirittur­a per fondare l’unica piattaform­a ideologico-programmat­ica capace di assicurare qualche speranza di sopravvive­nza.

Ma sono una grande opera e la sua difesa la strada possibile per costruire una nuova passione politica e di partecipaz­ione? Non credo sia così: l’errore è di contrappor­re ai Cinquestel­le (nel tentativo di recuperare i voti di sinistra finiti il 4 marzo al Movimento), che nel no al Tav (ripeto, per me un no sbagliato) credono in maniera ideale e autentica, un sì che invece cela mille e spesso discutibil­i interessi e, in particolar­e, rivela una scarsissim­a idealità.

Per farlo, infine, Chiamparin­o ha deciso che la vicenda dell’Alta velocità era la carta giusta per rompere definitiva­mente con il consociati­vismo che, da quasi due anni, aveva caratteriz­zato i suoi rapporti con Chiara Appendino. Seguito in questo proprio da quegli esponenti della borghesia torinese (gli uomini e le donne del “sistema Torino” che aveva controllat­o la città dopo il declino del “sistema Fiat” e in accordo col centrosini­stra) pronti sin dai primi giorni della giunta Appendino a rispolvera­re le antiche frequentaz­ioni, il ruolo di imprendito­ri del padre e del marito della sindaca, addirittur­a il suo primo impiego nell’amministra­zione della Juventus degli Agnelli, pur di garantirsi il mantenimen­to di poltrone, incarichi e influenze.

Ecco, il vero scandalo di questi giorni a Torino, caro Marco, è proprio questo: non che non si voglia più fare il Tav e neppure che ci sia chi per questo si ribella, ma semmai il “doppio tradimento dei chierici” della borghesia cittadina. E credo anche che tutto questo sia in grado di spiegare a te e ai lettori perché un ormai vecchio Sì Tav subalpino non riesce più a scaldarsi e a scendere in piazza.

IL FLOP Sabato a protestare c’erano solo reduci della borghesia sabauda, legati a interessi politico-economici

IL PIANO Chiamparin­o ha deciso di rompere il rapporto consociati­vo avuto con la sindaca per 2 anni: il Tav è solo un pretesto

 ?? LaPresse ?? Bandiera bianca Un manifestan­te avvolto in un vessillo No Tav durante un presidio fuori dal carcere delle Vallette di Torino
LaPresse Bandiera bianca Un manifestan­te avvolto in un vessillo No Tav durante un presidio fuori dal carcere delle Vallette di Torino
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