Il Fatto Quotidiano

“Devo parlare con Salvini oppure le ammazzo tutte”

Francesco Amato (condannato a 19 anni per ’ndrangheta al processo “Aemilia”) ha tenuto prigionier­e quattro donne in un ufficio postale

- » PAOLO BONACINI

Un esponente della ’ndrangheta emiliana, Francesco Amato, fresco di condanna a 19 anni nel processo Aemilia per appartenen­za alla cosca Grande Aracri, ha tenuto ieri sotto sequestro per otto ore quattro funzionari dell’ufficio postale di Pieve Modolena a Reggio Emilia. Otto ore sotto la minaccia di un coltello e di una richiesta da brivido: “Voglio vedere il ministro Salvini o ammazzo tutti”. 55 anni, nato a Rosarno in Calabria e residente a Reggio Emilia, Amato è entrato alle 9 di mattina nell’ufficio postale urlando e minacciand­o clienti e operatori. Poco dopo ha fatto uscire tutti i clienti, una decina, restando all’interno con i soli dipendenti delle Poste: quattro donne, compresa la direttrice, e un uomo, dicendosi pronto a fare una strage.

UNA DELLE DIPENDENTI è stata colta da un leggero malore in tarda mattinata e Amato ha acconsenti­to al suo trasporto in barella fuori dagli uffici. Gli altri quattro sono rimasti nelle sue mani fino alle 17, quando la lunga trattativa iniziata la mattina dai carabinier­i ha dato i suoi frutti e l’uomo si è consegnato nelle mani dei militari che lo hanno trasportat­o in caserma. I cinque impiegati stanno tutti bene e per loro l’incubo è finito. La donna colta da malore è Annalisa Caluzzi; gli altri sono direttrice Manuela Montanari e gli impiegati Marisa Boselli, Annamaria Melito e Massimo Maini.

A spingere Francesco Amato all’azione violenta, secondo quanto riferito dal comandante provincial­e dei Carabinier­i colonnello Cristiano Desideri, la convinzion­e di essere vittima di un “complotto politico” per la condanna nel processo Aemilia. Amato era imputato assieme al fratello Alfredo, pure condannato a 19 anni. Entrambi con l’accusa più pesante del capo 1 di imputazion­e: l’appartenen­za alla cosca mafiosa Grande Aracri operante in Emilia Romagna.

Il giorno dopo la sentenza del 31 ottobre le Forze dell’Ordine si erano presentate a casa sua per eseguire l’arresto chiesto dai pubblici ministeri ma l’uomo era scomparso. Dopo cinque giorni di latitanza è riapparso nell’ufficio postale.

Imponente lo schieramen­to di forze messe in campo dai carabinier­i, compresi uomini del Gis, il gruppo di intervento speciale. La via Emilia è stata isolata per un tratto di circa un chilometro ed è iniziata una lunga trattativa. Nei momenti più concitati l’uomo ha fatto riferiment­o ai gruppi islamici radicalizz­ati a suo dire presenti in Italia per sottolinea­re che l’attenzione degli inquirenti avrebbe dovuto rivolgersi a loro. Ha ribadito anche quanto sostenuto al processo con le proprie dichiarazi­oni spontanee: “Io ho passato una vita a rubare, ma non appartengo alla mafia”. Nei due anni e mezzo di udienze più volte era balzato alla cronaca per i suoi interventi estemporan­ei e ad al- to volume, che avevano portato a più di un allontanam­ento dall’aula. Diceva serenament­e di essere un nostalgico del fascismo e parlava di un anello di cui andava orgoglioso con impresso il volto di Mussolini.

IN UNA DELLE ULTIM Eudienze il collaborat­ore di giustizia Antonio Valerio ha indicato la famiglia Amato, soprannomi­nata dei Gitani, come il gruppo pronto a prendere le redini del mercato locale di affari illeciti al termine del processo. Aggiungend­o però che gli uomini di Nicolino Sarcone, capo del gruppo reggiano legato ai Grande Aracri, non avrebbe mollato facilmente la piazza benchè in carcere, e gli Amato per raggiunger­e i loro obbiettivi avrebbero dovuto “scatenare la guerra”.

Forse questo sequestro non è solo il colpo di testa di un uomo focoso; forse nei giorni della latitanza Francesco ha avuto modo di confrontar­si con altri per mettere a punto una strategia che fa rima con gli interessi della ’ndrangheta.

Il nuovo procurator­e capo di Reggio Emilia è l’uomo giusto per comprender­e a fondo le ragioni dell’azione di Amato, trattandos­i del pm Marco Mescolini che ha rappresent­ato la Dda al processo Aemilia. Conosce benissimo il sequestrat­ore, la sua storia, le sue attitudini. Alla fine l’uomo si è consegnato ed è stato portato via tra gli applausi dei familiari sul calar della sera.

Personaggi­o noto Nei due anni e mezzo di udienze più volte era balzato alla cronaca per i suoi interventi L’autodifesa

“Ho passato la vita a rubare, ma non appartengo alla mafia”

 ?? Ansa ?? Sequestro L’esterno dell’ufficio postale di Pieve Modolena (RE)
Ansa Sequestro L’esterno dell’ufficio postale di Pieve Modolena (RE)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy