“Devo parlare con Salvini oppure le ammazzo tutte”
Francesco Amato (condannato a 19 anni per ’ndrangheta al processo “Aemilia”) ha tenuto prigioniere quattro donne in un ufficio postale
Un esponente della ’ndrangheta emiliana, Francesco Amato, fresco di condanna a 19 anni nel processo Aemilia per appartenenza alla cosca Grande Aracri, ha tenuto ieri sotto sequestro per otto ore quattro funzionari dell’ufficio postale di Pieve Modolena a Reggio Emilia. Otto ore sotto la minaccia di un coltello e di una richiesta da brivido: “Voglio vedere il ministro Salvini o ammazzo tutti”. 55 anni, nato a Rosarno in Calabria e residente a Reggio Emilia, Amato è entrato alle 9 di mattina nell’ufficio postale urlando e minacciando clienti e operatori. Poco dopo ha fatto uscire tutti i clienti, una decina, restando all’interno con i soli dipendenti delle Poste: quattro donne, compresa la direttrice, e un uomo, dicendosi pronto a fare una strage.
UNA DELLE DIPENDENTI è stata colta da un leggero malore in tarda mattinata e Amato ha acconsentito al suo trasporto in barella fuori dagli uffici. Gli altri quattro sono rimasti nelle sue mani fino alle 17, quando la lunga trattativa iniziata la mattina dai carabinieri ha dato i suoi frutti e l’uomo si è consegnato nelle mani dei militari che lo hanno trasportato in caserma. I cinque impiegati stanno tutti bene e per loro l’incubo è finito. La donna colta da malore è Annalisa Caluzzi; gli altri sono direttrice Manuela Montanari e gli impiegati Marisa Boselli, Annamaria Melito e Massimo Maini.
A spingere Francesco Amato all’azione violenta, secondo quanto riferito dal comandante provinciale dei Carabinieri colonnello Cristiano Desideri, la convinzione di essere vittima di un “complotto politico” per la condanna nel processo Aemilia. Amato era imputato assieme al fratello Alfredo, pure condannato a 19 anni. Entrambi con l’accusa più pesante del capo 1 di imputazione: l’appartenenza alla cosca mafiosa Grande Aracri operante in Emilia Romagna.
Il giorno dopo la sentenza del 31 ottobre le Forze dell’Ordine si erano presentate a casa sua per eseguire l’arresto chiesto dai pubblici ministeri ma l’uomo era scomparso. Dopo cinque giorni di latitanza è riapparso nell’ufficio postale.
Imponente lo schieramento di forze messe in campo dai carabinieri, compresi uomini del Gis, il gruppo di intervento speciale. La via Emilia è stata isolata per un tratto di circa un chilometro ed è iniziata una lunga trattativa. Nei momenti più concitati l’uomo ha fatto riferimento ai gruppi islamici radicalizzati a suo dire presenti in Italia per sottolineare che l’attenzione degli inquirenti avrebbe dovuto rivolgersi a loro. Ha ribadito anche quanto sostenuto al processo con le proprie dichiarazioni spontanee: “Io ho passato una vita a rubare, ma non appartengo alla mafia”. Nei due anni e mezzo di udienze più volte era balzato alla cronaca per i suoi interventi estemporanei e ad al- to volume, che avevano portato a più di un allontanamento dall’aula. Diceva serenamente di essere un nostalgico del fascismo e parlava di un anello di cui andava orgoglioso con impresso il volto di Mussolini.
IN UNA DELLE ULTIM Eudienze il collaboratore di giustizia Antonio Valerio ha indicato la famiglia Amato, soprannominata dei Gitani, come il gruppo pronto a prendere le redini del mercato locale di affari illeciti al termine del processo. Aggiungendo però che gli uomini di Nicolino Sarcone, capo del gruppo reggiano legato ai Grande Aracri, non avrebbe mollato facilmente la piazza benchè in carcere, e gli Amato per raggiungere i loro obbiettivi avrebbero dovuto “scatenare la guerra”.
Forse questo sequestro non è solo il colpo di testa di un uomo focoso; forse nei giorni della latitanza Francesco ha avuto modo di confrontarsi con altri per mettere a punto una strategia che fa rima con gli interessi della ’ndrangheta.
Il nuovo procuratore capo di Reggio Emilia è l’uomo giusto per comprendere a fondo le ragioni dell’azione di Amato, trattandosi del pm Marco Mescolini che ha rappresentato la Dda al processo Aemilia. Conosce benissimo il sequestratore, la sua storia, le sue attitudini. Alla fine l’uomo si è consegnato ed è stato portato via tra gli applausi dei familiari sul calar della sera.
Personaggio noto Nei due anni e mezzo di udienze più volte era balzato alla cronaca per i suoi interventi L’autodifesa
“Ho passato la vita a rubare, ma non appartengo alla mafia”