L’insostenibile leggerezza dei commenti al coming out di Paola Egonu
Lei lo dichiara, senza enfasi, in un’intervista video al Corriere della Sera: “Ho una compagna”. L’intervistatrice la corregge subito in “fidanzata”, e così apparirà nella trascrizione del colloquio ripresa dal web, forse perché “fidanzata” sa meno di Arcilesbica e di ideologia arcobaleno. E va bene che Paola Egonu abbia semplicemente risposto a una domanda, è una pallavolista mica un’attivista, ma gli articoli che esaltano il modo naturale in cui avrebbe fatto coming out– cosa ha provato davvero non lo sappiamo – sono la cartina di tornasole di un giornalismo che maneggia meglio il colore della pelle che i diritti delle lesbiche, parola “sporca” che nessuno ha osato utilizzare in questo frangente. C’è chi, come la Gazzetta dello Sport, attacca la “ridda di appropriazioni e rivendicazioni da parte di associazioni gay” ( che hanno fatto solo il loro lavoro, anche perché lo sport è davvero un mondo pieno di omosessuali nascosti per paura). C’è chi, come il Giornale, esalta Egonu perché, oltre a non usare il termine “compagna” (che invece aveva usato, ndr), non ha sbandierato la notizia né fatto propaganda. Ma a fare il santino non richiesto della pallavolista è Vanity Fair, che definisce il suo coming out “quanto di più pulito e prezioso sia apparso da tempo sugli schermi della nostra vita” e la esalta come esempio di calviniana “leggerezza”. Come se esistesse un coming out sudicio, come se non essere eterei, volatili, post-ideologici, ma rivendicare con forza le proprie idee o tendenze sessuali – in un Paese biecamente omofobo, per di più – fosse la peggiore delle colpe.