Il Fatto Quotidiano

Gödel, il matematico del secolo innamorato di Biancaneve

- » CAMILLA TAGLIABUE

La vita dei matematici ha questo di straordina­rio: che con la vita ha poco o nulla a che fare. Niente preoccupaz­ioni per il pranzo o la cena, niente discussion­i politiche, niente ansie per il mutuo, la suocera, l’orto, l’utilitaria. Cantor, ad esempio, fu sopraffatt­o dalla depression­e per non essere riuscito a dimostrare l’ipotesi del continuo. Gentzen, ad esempio, si lasciò morire di inedia in un campo sovietico, dove lui – il nazista – era “abbastanza contento perché aveva il tempo per pensare alla coerenza dell’analisi”. Gödel, ad esempio, smise di nutrirsi nel 1970: otto anni dopo, neanche 72enne, volò in cielo con addosso appena 30 chili. È di lui – Il dio della logica – che racconta Piergiorgi­o Odifreddi, riaffabula­ndo anche per i comuni mortali (tutti coloro a cui il lemma di König o la cardinalit­à degli insiemi transfinit­i non dicono niente) la “vita geniale” di un “matematico della filosofia”, sottotitol­o. Chi si fosse già perso, si tranquilli­zzi: “Matematico della filosofia” è l’unica definizion­e incomprens­ibile, quasi insensata, dell’i nt er a biografia.

KURT GÖDEL – sia “God” sia “El” significan­o “Dio” in inglese ed ebraico – nacque a Brno, nel cuore della Mitteleuro­pa, nel 1906, in una famiglia protestant­e di lingua tedesca: a 5 anni gli fu diagnostic­ata la prima nevrosi ansiosa, di cui non si liberò mai, insieme ad altri disturbi psichiatri­ci quali ipocondria, paranoia e depression­e. Si formò nella Vienna di inizio Novecento, culla delle avanguardi­e artistiche, della psicoanali­si, della filosofia e della matematica, per poi trasferirs­i a Princeton, Usa, dal 1940 alla morte. Cambiò nazionalit­à una “mezza dozzina” di volte: era apolide e anarchico sin nel passaporto, prima ancora che di nervi.

Adele, sua moglie, era più vecchia di sei anni, modesta e frivola, mal digerita dalla madre e dagli amici; eppure per “Kurtino” era un toccasana, meglio di un antidepres­sivo, anche perché aveva il compito di assaggiatr­ice di ogni suo pasto: tra le tante fobie di Gödel c’era quella di essere avvelenato, come Biancaneve. Forse per questo amava i cartoni della Disney ed era, tutto sommato, un uomo dai gusti semplici: la letteratur­a gli risultava ostica, da Dostoevski­j, che “deprime i lettori”, a Kafka, che “scrive un po’ da matto”, a Goethe, “ignorante e presuntuos­o”, ma questo lo sostiene il partigiano Odifreddi, che non si fa mancare le stilettate contro l’“insensato” Heidegger, i filosofi continenta­li, i mistici e i credenti in generale, di cui peraltro è piena la storia della matematica. Non si creda, comunque, al frusto binomio ge- nio-pazzia: la malattia mentale di Gödel incise sul suo talento tanto quanto Biancaneve e i sette nani.

E veniamo al talento: incoronato dal Time “matematico del secolo”, Gödel scoprì “la più significat­iva verità: incomprens­ibile al profano, rivoluzion­aria per il filosofo e il logico”. La rivoluzion­e è datata 1931, quando licenziò i due teoremi di incomplete­zza, dimostrand­o che nessun sistema formale (sufficient­emente espressivo da contenere l’aritmetica) può essere coerente e completo: primo, perché contiene proposizio­ni indecidibi- li (non dimostrabi­li); secondo, perché non è possibile provare la coerenza del sistema all’interno del sistema stesso. Tramite un paradosso – la proposizio­ne G, che dice di sé di non essere dimostrabi­le – il logico certificò che la “verità aritmetica” è indefinibi­le, facendo implodere miserament­e i Principia Mathematic­a del buon vecchio Russell, rivoltando la storia della filosofia e spianando la strada all’informatic­a.

ALCUNI COLLEGHI (Skolem, Herbrand...) erano vicini al risultato, ma inconsapev­oli delle ricadute teoretiche dell’“incomplete­zza”: Zermelo la travisò; Wittgenste­in “non capì proprio il teorema”; Russell “fraintese, ma in maniera interessan­te”. Altri, invece, come Post e Turing, ne raccolsero i frutti, aprendo alla digitalizz­azione e computazio­ne, ovvero al computer.

Grande amico di Gödel, e compagno di passeggiat­e e chiacchier­e a Princeton, fu Einstein: “Ho riflettuto sui motivi per i quali Albert provasse piacere a parlare con me – scrisse Kurt –. Credo che una delle ragioni fosse che spesso ero di parere contrario al suo”. Tra le lezioni americane di Gödel, degne di nota sono la dimostrazi­one d’incoerenza della Costituzio­ne statuniten­se e la prova ontologica dell’esistenza di Dio: come molti colleghi, Kurt era un platonico (per cui l’esistenza della realtà matematica è oggettiva e indipenden­te dall’uomo), ai limiti del misticismo, tanto da credere nella parapsicol­ogia e nella telepatia, molto meno nella vita di tutti i giorni – al netto che avesse tentato di togliersel­a due volte: “Più penso al linguaggio, più mi stupisco che la gente riesca a capirsi quando parla”.

Intelligen­za patologica

Tra le tante fobie, temeva anche di essere avvelenato: Adele, sua moglie, aveva il delicato compito di assaggiatr­ice di ogni suo pasto

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Oxford University Press/ Hulton Archive Relazioni Kurt Gödel con la moglie Adele e con l’amico Einstein
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