L’Ue: “Il deficit è al 2,9%”. Tria: “Conti sbagliati”
Previsioni d’autunno La Commissione stima un disavanzo 2019 più alto di quello del governo (2,4%) ma anche una crescita all’1,2%
Il ministero dell’Economia liquida tutto come il frutto di “un’analisi non attenta e parziale”, combinata con una “défaillance tecnica”: la Commissione europea avrebbe sbagliato i conti nelle sue previsioni economiche d’autunno presentate ieri che vedono il deficit atteso per il 2019 al 2,9 per cento del Pil invece che al 2,4 annunciato dal governo. I toni di questa nota senza firma, che appare sul sito del ministero dell’Economia, sono sorprendentemente ruvidi. Eppure, i numeri presentati da Bruxelles sono meno negativi di quello che il governo italiano poteva temere, anche se diventano la base per una bocciatura ormai certa della legge di Bilancio la prossima settimana.
LA COMMISSIONE Ue si aspetta, dopo una crescita del Pil dell’ 1,1 per cento nel 2018, un aumento de ll’ 1,2 nel 2019. Che è meno dell’1,5 programmato dal governo e implica un effetto molto limitato delle misure annunciate, ma sarebbe comunque un buon risultato vista l’attuale congiuntura, con il Pil italiano che si è fermato nel terzo trimestre 2019 e con le fosche attese sul rallentamento del commercio mondiale nel 2019. La stima del deficit del prossimo anno è invece molto diversa da quella ufficiale del governo: 2,9 per cento del Pil invece che 2,4, 7-8 miliardi in più. I numeri del governo sono stati bocciati dall’Upb, l’autorità italiana indipendente sui conti pubblici, e anche la Commissione non crede ai calcoli del Tesoro.
Tutto questo era abbastanza atteso, più sorprendente è il lungo approfondimento che i tecnici della Commissione dedicano all’e ff e tt o dell’aumento dello spread sul debito italiano e alla possibi- lità che possa innescare una crisi bancaria o addirittura mettere in pericolo l’euro, come accaduto nel 2011.
Un aumento di 100 punti di spread – che è la differenza di costo tra il debito italiano a 10 anni e quello tedesco di pari durata – determina una perdita del 4 per cento del valore di titoli di Stato che le banche hanno in bilancio (pari al 10 per cento del totale). L’effetto è che il parametro che misura la solidità del capitale scende dello 0,4 per cento. Spiacevole, ma non una catastrofe.
Però non si può sottovalutare la situazione anche se “le tensioni attuali sul debito pubblico italiano e le connessioni tra banche nazionali e titoli di Stato non hanno spinto le banche ad alzare i tassi di interessi o a restringere i prestiti a famiglie e imprese”. Qualche conseguenza già c’è, la Commissione segnala “il contagio dal debito pubblico italiano al- le obbligazioni private italiane”. Tradotto: se lo Stato paga tassi di interessi più alti perché come debitore ha perso credibilità, questo determina già un aumento del costo di finanziamento per le imprese che emettono bond. E solo per quelle italiane, che si trovano così sfavorite rispetto alla concorrenza straniera.
SE RIVOLGERSI al mercato è più costoso, sempre più imprese sceglieranno di finanziarsi chiedendo soldi alle banche invece che tramite bond. E quindi anche il costo del credito bancario è destinato a salire. Dai calcoli della Commissione si vede che dopo il 2011 i tassi praticati a famiglie e imprese italiane non si sono ridotti in modo proporzionale al calo dello spread (sceso per le politiche della Bce), le banche hanno beneficiato quindi di un cuscinetto di ricavi che permette ora di non alzare subito i prezzi. Ma ora i costi per le banche stanno salendo (colpa dello spread) e quindi presto potrebbero salire i costi per i loro clienti.
Questo circolo vizioso potrebbe avere conseguenze “sul settore bancario di tutta l’eurozona”, avverte la Commissione.
L’effetto valanga Finora lo spread ha causato soltanto un rialzo dei tassi sulle obbligazioni private