PICCOLE OPERE CONTRO L’USA E GETTA
Praticamente impossibile incontrare un commentatore del nostro presente che dissenta rispetto alla natura “ecologica” delle difficoltà drammatiche che la civiltà umana sta attraversando in questo tardo capitalismo.
LA GRANDE CRISI esplosa nel 2008 non è solo economica ma anche sociale e ideologica. La crisi è stata infatti l’esito di una ideologia politica nota come neoliberismo, divenuta prassi dominante dei paesi industrializzati nella penultima decade del secolo scorso. Prassi potentissima, capace di travolgere nel decennio successivo l’equilibrio bipolare della Guerra Fredda e le stesse barriere politiche della statualità inaugurando la cosiddetta globalizzazione.
La stagione neoliberale affida al capitale svincolato da obblighi nei confronti del lavoro e della politica la guida del cammino umano. In ogni Paese essa viene inaugurata, grossomodo nello stesso momento, da un conflitto divenuto altamente simbolico che vede trionfare il capitale.
In Inghilterra la Thatcher piega i minatori; negli Stati Uniti Reagan piega i controllori di volo.
In Italia l’epicentro del terremoto non poteva che essere Torino dove il cosiddetto “autunno caldo” si chiude con la famosa marcia dei quadri intermedi Fiat dell’ottobre 1980. Quell’episodio, noto come marcia dei 40.000 (pare la stima sia stata una specie di autogol computazionale di Luciano Lama: in realtà la questura ne stimò 12.000) segna il ritorno in campo della stessa alleanza fra piccola borghesia e autoritarismo padronale che aveva già domato cent’anni fa il biennio rosso portando alla marcia di Roma.
Fu Enrico Cuccia ( grande banchiere di sistema) a “suggerire” ad Agnelli la nomina ad Ad di un suo uomo rozzo e di estrema destra come Cesare Romiti per fare il “lavoro sporco”, licenziando e ponendo in cassa a zero ore oltre 20.000 operai, per concludere con il pugno di ferro uno scontro ideologico iniziato mesi prima col licenziamento di una sessantina di operai (falsamente) accusati di contiguità con la lotta armata.
Arisio, il “regista” della marcia non fu che l’utile idiota di una strategia architettata altrove per interessi del tutto altri rispetto a quelli dichiarati di tutelare il lavoro... (ironicamente gli stessi figli di Arisio, premiati con l’assunzione, furono poi vittime dello smantellamento della Fiat oggi emigrata baracche e burattini per non pagare le tasse in Italia).
COME SI RIPETEla storia! Il capitale punta sulla grande opera Tav promossa a ideologia con dati campati per aria e rifiuta ogni dialogo su alternative più sostenibili ( ristrutturazione linea storica). Gli stessi giornali pubblicano in prima pagina editoriali incredibili sperando di riprodurre sabato i “fasti” di quella catastrofe. Gli stessi interessi finanziari e padronali guadagnerebbero dal nuovo saccheggio del territorio; gli stessi piccolo-borghesi strumentalizzati ci perderebbero.
Se fosse vero che la tragedia storica si ripresenta in farsa potremmo stare sereni. Ma intorno a noi, proprio in questi giorni si manifestano brutali gli esiti della politica estrattiva e antiecologica divenuta dominante da quel 1980. Crollano ponti e infrastrutture; il territorio devastato non regge all’impatto del clima, a sua volta devastato dallo sviluppo neoliberale. Mentre si riprende una riflessione seria su come tutelare i beni pubblici e quelli comuni (Commissione Rodotà, Accademia Lincei 30 novembre prossimo) e si quantificano imiliardi necessari per rigenerare il nostro territorio (forse ne servono 70) sufficienti per un grande piano di piccole opere capaci di rilanciare lavoro e speranza per le future generazioni, gli interessi rapaci ed estrattivi aggrediscono il consiglio comunale torinese per convincere tutti che serve ancor più della stessa catastrofica medicina.
La logica usa e getta che ha reso il mondo una discarica viene applicata anche al territorio. Perché non considerare seriamente la ristrutturazione della vecchia linea, un progetto coerente con quella logica del riuso e dell’economia circolare che sola può darci speranza?