Il Fatto Quotidiano

CRIMINI E RITI DELLA MAFIA NIGERIANA

- » MARIO PORTANOVA

Da Torino a Brescia e PalermoU n’organizzaz­ione “massonica ma anche mafiosa” diventata, seguendo i flussi delle migrazioni, globale. Controlla a colpi di machete traffico di droga, prostituzi­one e mercato delle truffe. Dalla Nigeria all’Italia, la guerra tra i “culti” – come Black Axe ed Eiye – è arrivata tra noi

La rete criminale arriva in Piemonte, Lombardia, Veneto, Campania (area domiziana), Sicilia (Palermo, in particolar­e). Regola i conti con pestaggi e aggression­i a colpi di machete, asce, coltelli, bottiglie rotte. Sembrano volgari risse da strade, ma dietro si nasconde una mafia globale, che dalla Nigeria si è sparsa in ottanta Paesi, secondo l’Fbi, conquistan­do spesso il primato nel traffico di droga – dall’eroina alla cocaina al crack –, nello sfruttamen­to della prostituzi­one e nelle truffe economiche, anche ai danni di grandi aziende. E se le gang originarie del Paese più popolato dell’Africa (oltre 190 milioni di abitanti) sono ormai da decenni all’attenzione delle polizie di mezzo mondo – inclusa la nostra Direzione investigat­iva antimafia che ne ha tracciato la mappa – fino a questo momento la criminalit­à organizzat­a nigeriana ha avuto vita abbastanza facile in patria. Forte, come ogni mafia che si rispetti, di salde protezioni politiche.

“Hanno persone ai massimi livelli governativ­i che li sostengono sistematic­amente, così riescono a sfuggire alle indagini e alle pene più severe quando vengono arrestati”, spiega al FattoEric Dumo, reporter di The Punch, uno dei più importanti quotidiani della Nigeria. Anzi, “molti politici assoldano questi gruppi per attaccare gli oppositori, specie nelle competizio­ni elettorali per le cariche più importanti”, continua. “E anche i criminali trasferiti in altri Paesi hanno appoggi che rendono più difficile un contrasto efficace alla reale minaccia che rappresent­ano”.

La criminalit­à nigeriana è reputata la più potente di tutto il Continente nero, favorita da livelli di corruzione storicamen­te elevatissi­mi (nel 2006 la Nigeria’s Eco

nomic and Financial Crime Commission stimò che dal 1960 i governi avevano rubato o sprecato 380 miliardi di dollari) e da un boom petrolifer­o che ha finito per stimolare il crimine più che il benessere della popolazion­e, come spiega nei suoi scritti Stephen Ellis, scomparso africanist­a della Vrije Universite­it di Amsterdam. Sull’onda della forte emigrazion­e dal Paese depredato, dagli anni Ottanta in avanti, il crimine organizzat­o nigeriano si è globalizza­to, un po’ come era accaduto in passato alle italiche Cosa Nostra e ’ndrangheta.

Nel mare magnum dei gruppi svettano i “culti”, eredi delle confratern­ite universita­rie nate negli anni Settanta, spesso su base religiosa, in particolar­e evangelico-pentecosta­le, ma con istanze marxiste e anticoloni­aliste. Ispirati dall’incolpevol­e poeta premio Nobel Wole Soyinka, i culti si sono man mano convertiti al crimine, trasforman­dosi in scontri sanguinosi fuori e dentro gli atenei. Molti giovani laureati, senza alcuna speranza di trovare un impiego adeguato, sono passati direttamen­te dalle aule ai reati da colletti bianchi: per questa via la criminalit­à nigeriana ha acquisito un’indiscussa leadership mondiale nelle truffe economiche, le famose 419 scam, dall’articolo del codice penale nigeriano, il 419, che le punisce. Prima con lettere cartacee, poi con l’avvento di Internet attraverso email con promesse di guadagni milionari che a tutti è capitato di ricevere, e che generano profitti milionari sulla pelle di chi ci casca.

I culti più potenti sono “i Black Axe – conosciuto anche come Neo-Black Movement of Africa – e gli Eiye, insieme ai Buccaneers ei Pirates”, afferma ancora Eric Dumo (il poeta Soyinka era affascinat­o da L’Isola del

tesoro di Robert Stevenson, da qui i tanti nomi pirateschi). “Poi dozzine a livello locale. Anche nel Delta del Niger (dove opera l’Eni, ndr) ci sono gruppi spietati come Dey Bam, Dey Well, Highlander­s...”. Uno dei culti, a scanso di equivoci, si è battezzato sempliceme­nte “Mafia”. Proprio i Black Axe– fondati all’Università di Benin City nel 1977 e diffusi in tutta la Nigeria – e gli Eiye – originari del Sud-Ovest del Paese e presenti anche nella capitale Lagos – sono i gruppi attivi in Italia, e non da oggi.

Le prime condanne per associazio­ne mafiosa risalgono al 2009, a opera del Tribunale di Brescia. A farne le spese furono gli Eiye, accusati soprattutt­o di tratta di

giovanissi­me connaziona­li da impiegare nella prostituzi­one di strada. L’Italia è stato il primo Paese al mondo in cui la mafia nigeriana, già dagli anni Ottanta, ha sperimenta­to questo business. Un business sulla pelle di ragazzine delle famiglie più povere, generalmen­te originarie dell’area di Benin City. Le indagini dimostraro­no un ferreo controllo sulla locale comunità di immigrati e svelarono la guerra in corso tra i due principali “culti”. Una guerra che sulle strade di Torino andava in scena già dal 2003. Tirando i fili di diversi episodi, i carabinier­i capirono che la posta in gioco era il controllo dello spaccio, della prostituzi­one e degli affari della comunità nella città sabauda. Anche in questo caso, nel 2010 arrivarono le condanne per 416 bis per ben 36 imputati, per lo più Eiye: “mafiosità” confermata in Cassazione. E non fa differenza – scrissero i giudici – se quei gruppi “non intendevan­o estendere le loro influenze ai cittadini italiani, ma sempliceme­nte nell’ambito della comunità nigeriana”.

Sono proprio i connaziona­li le prime vittime dei “culti”. Già dai primi anni 2000, le indagini sulla tratta a Castel Volturno (Caserta) svelarono l’accordo con la camorra, che riceveva un fitto, detto joint, per ogni porzione di marciapied­e occupata dalle ragazze. Più recente è invece l’alleanza a Palermo tra Cosa Nostra e Black Axe, come racconta l’articolo nella pagina che segue, e che ilfattoquo­tidiano.it svelò per primo nel 2015.

Eiye e Black Axe, scrive la Dia nell’ultima relazione, sono caratteriz­zati “da una rigida struttura verticisti­ca”, con “capi internazio­nali, nazionali e locali” che gestiscono autonomame­nte le attività illecite sui propri territori mantenendo però “contatti operativi con le strutture madri presenti in Nigeria”.

A livello globale, la mafia nigeriana sta diventando una vera protagonis­ta del traffico di droga, forte di una rete che va dal Sudafrica al Brasile, all’India, agli Stati Uniti. Passando per l’Europa. Proprio l’Italia, insieme a Spagna e Regno Unito, è fra i nodi più importanti.

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Alla conquista di BallaròGli scatti che pubblichia­mo in queste pagine sono parte di un reportage fotografic­o di Francesco Bellina, che per MillenniuM ha raccontato la mappa e lo scontro tra i “culti” a Palermo

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