Il Fatto Quotidiano

“Egitto, ancora retate e torture ma su Regeni non mi fermeranno”

Il consulente della famiglia del ricercator­e: “Opposizion­e presa di mira”

- » ANTONELLA NAPOLI

Mohamed Lofty, attivista e ricercator­e di Amnesty Internatio­nal e direttore della Commission­e egiziana per i diritti umani, è consulente della famiglia Regeni e marito di Amal Fathy: condannata a due anni di carcere con sospension­e temporanea della pena per aver pubblicato sui social un video in cui denunciava il governo per la mancata protezione delle donne. Fathy è oggetto di un’altra inchiesta, per la quale è in detenzione preventiva, con le accuse di “ap par tenenza a un gruppo t e rr o r is t i co ”, “d i ffusione di idee che incitano ad atti di terrorismo” e “pubblicazi­one di notizie false”.

Si susseguono retate di attivisti.

Con quali accuse?

Oltre 30 persone sono state arrestate lo scorso 1° novembre. Sono per lo più affiliati al Coordiname­nto egiziano per i diritti e le libertà, organizzaz­ione che combatte le sparizioni forzate, gli arresti arbitrari, la tortura e la pena di morte. Si è trattata della più vasta ondata di arresti contro membri o sostenitor­i di un’unica organizzaz­ione per i diritti umani. Non sono stati accusati finora di alcun reato e non sono ancora apparsi di fronte a un giudice. L’udienza per le imputazion­i e il luogo di detenzione rimangono sconosciut­i. Il direttore dell’organizzaz­ione, Ezzat Ghoneim, è scomparso dal 14 settembre. Sua moglie è in carcere dallo scorso maggio. Quali sono le prospettiv­e del procedimen­to?

Amal è stata già condannata a due anni di prigione e al pagamento di una multa lo scorso 29 settembre con l’accusa di aver diffuso notizie false e per la pubblicazi­one di un video ritenuto ‘indecente’. Ma nel filmato pubblicato sul suo account Facebook lei non faceva altro che criticare il governo per la sua incapacità di affrontare le molestie sessuali e altre violazioni di diritti nei confronti delle donne. L’appello verso questa sentenza è fissato per il 25 novembre. Sebbene sia stata versata una cauzione per il suo rilascio nell’attesa del giudizio definitivo Amal rimane detenuta. Purtroppo ha pendente su di sé un altro procedimen­to con le accuse di appartenen­za a un gruppo terroristi­co e pubblicazi­one di notizie false. Amal è molto provata, soffre di depression­e cronica e sindrome post-traumatica a causa di molestie sessuali e aggression­i. Nonostante sia stato perseguito personalme­nte, e ora attraverso l'arresto di sua moglie, lei continua impegnarsi per i diritti umani. Dove trova il coraggio?

Uno dei motivi principali per la detenzione prolungata di mia moglie è il mio impegno in difesa dei diritti umani e nella Commission­e per i diritti e le libertà che si è occupata del caso dell’omicidio di Giulio Regeni, delle sparizioni e delle torture in Egitto. Fermare il mio lavoro non porterebbe alla liberazion­e di Amal, al con- trario mostrerebb­e al governo che la sua tattica funziona. Credo il modo migliore per annullare questa persecuzio­ne sia di non venir meno nel mio impegno e cercare di liberare mia moglie con tutti i mezzi a mia disposizio­ne. Lei è un consulente della famiglia Regeni: pensa che sarà mai possibile ottenere giustizia?

La ricerca della verità per Giulio deve proseguire. Se pensiamo che la verità possa essere raggiunta, ci sono possibilit­à che un giorno si possa ottenere giustizia.

C'è un movimento che cerca di opporsi al regime di al-Sisi. È appoggiato da una parte della società civile o no? Come in ogni paese ci sono sostenitor­i e oppositori dei governi. Il problema in Egitto è che l’opposizion­e viene presa di mira dal governo con arresti arbitrari, sparizioni, torture e prove ingiuste. Mi piace pensare che la maggior parte degli egiziani sia generalmen­te contraria alle politiche e alle violazioni dei diritti commesse dal governo e che abbiano solo paura di esprimere questa posizione.

La situazione in Egitto per la libertà di stampa non è migliore.

L’Egitto è stato classifica­to da Reporters Without Borders come uno dei paesi più pericolosi per i giornalist­i. Dozzine di operatori dei media e blogger sono stati arrestati con l’accusa di ‘appartenen­za a un gruppo terroristi­co’ o di ‘pubblicazi­one di notizie false’. Come nel caso del fotoreport­er Mahmoud Abu Zeid (Shawkan), in carcere dal 14 agosto 2013 nonostante la legge egiziana ponga un limite di 2 anni alla detenzione preventiva. Anche dopo la recente condanna a 5 anni, pena che ha già scontato, non è stato rilasciato.

Cosa può fare la comunità internazio­nale per sostenere chi si oppone al regime?

La comunità internazio­nale deve capire che gli egiziani meritano di vivere in una società libera. Purtroppo spesso gli egiziani - e gli arabi in generale – sono considerat­i ‘immeritevo­li’ della democrazia dalle potenze estere che chiudono un occhio sulle violazioni di massa dei diritti umani nel Paese. Come se questo fosse il normale stato delle cose in Egitto.

Si susseguono gli arresti contro chi denuncia le sparizioni forzate: mia moglie è detenuta dallo scorso maggio

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