Donare ciò che abbiamo per aiutare gli altri: ecco quello che ci chiede Gesù
Inquel tempo, Gesù diceva alla folla nel suo insegnamento: “Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa”. Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: “In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”(Marco 12,38-44).
LA PRIMA LETTURA ci narra la vicenda della vedova di Sarépta di Sidone che, con l’ultimo “pugno di farina nella giara e un po’d’olio nell’orcio”(1Re 17,12) preparò, in un tempo di grave carestia, una piccola focaccia per il profeta Elia, per lei e per suo figlio. Mentre nella previsione della povera vedova pagana c’era solo l’aspettativa della morte – “mangeremo e poi moriremo” (1Re 17, 12) –, dopo aver consumato le ultime povere riserve, in realtà “la farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia” (1Re 17,16).
Anche il Vangelo ci presenta un’anonima e umile vedova che, “nella sua miseria”, avendo “gettato (nel tesoro del tempio) tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere” ( Mc 12,44b), sconfessa il perbenismo legalista degli scribi e la loro fede formale e vuota. Gesù invita fermamente gli ascoltatori e i discepoli a osservare il gesto dell’elemosina della vedova, la quale offre tutto il poco che ha (“due monetine, che fanno un soldo”v.42) ,erac comanda di non assumere il modo di agire dello scriba che ostenta la sua pratica religiosa.
Tante sono le ragioni che possono indurre ad un comportamento che si affida solo alla legge, che dipende dal giudizio altrui, che non ha un rapporto interiore e personale con Dio, che non è biblica mente educato all’ ascolto della Parola del Signore, che confida nella propria misura d’ amore più che nella forza della grazia, la quale, invece, allarga cuore e mente oltre ogni misura. Gratuità, libertà, bellezza, dono, misericordia, perdono, condivisione non sembrano alimentare l’esistenza di chi si ritiene autosufficiente, anche di fronte a Dio.
L’orfano, la vedova e lo straniero sperimentano la dipendenza, hanno bisogno d’essere pro- tetti ( Es 22,21- 22; Dt 24,17; 26,12). Gesù, notando il gesto di “coloro che hanno gettato parte del loro superfluo”, ci propone la fede e la pratica di una vedova così povera che, con un sol gesto senza evidenza e nell’anonimato più disorientante, si gioca tutta la propria esistenza. Essa, dando in elemosina “quanto aveva per vivere” (Mc 12,44) diventa, nella lettura cristiana del Vangelo, immagine di Dio stesso il quale dona tutto, anche il Suo Figlio, per la salvezza dell’umanità.
CRISTO, DA RICCO che era, si è fatto povero per noi perché noi diventiamo ricchi per mezzo della sua povertà; Egli si è “offerto una sola volta per togliere il peccato di molti” (Eb 9,28). Per l’estrema indigenza economica e per la precarietà esistenziale che la rendeva vulnerabile e senza protezione familiare, la vedova poteva ritenersi dispensata dal mantenimento del culto e del tempio. Eppure dà “tutto quello che aveva”. All’inizio degli eventi che segnano la passione di Cristo, troviamo un versetto che ci descrive questo amore totale e radicale: “Gesù (…) avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine”(Gv 13,1c). Così è il discepolo del Signore, il vero cristiano. *Arcivescovo emerito di Camerino – San Severino Marche