Il Fatto Quotidiano

La Reggia ridotta a torta da spartire

Nozze, amari e amarezze

- » TOMASO MONTANARI

Mauro Felicori santo subito. L’ex direttore dei Cimiteri comunali di Bologna proiettato dalla riforma dei musei del suo conterrane­o Dario Franceschi­ni alla guida della Reggia di Caserta è un eroe nazionale. E non solo per la (peraltro assordante) propaganda di servi di partito e giornalist­i lacchè: anche osservator­i liberissim­i e ipercritic­i esaltano Felicori. Perfino i miei amici Roberto Saviano e Gian Antonio Stella hanno indicato come esemplare il lavoro del direttore appena pensionato. L’argomen- to su cui si fonda questo entusiasmo è il numero dei visitatori: raddoppiat­o, insieme agli incassi (non record assoluti, sia chiaro: numeri vicini ai risultati della fine degli anni ’90). E poi c’è il confronto con l’abbandono disastroso della Reggia negli ultimi decenni: un abisso di fronte al quale ogni alternativ­a sembra un capolavoro.

MA DAVVERO quello di Felicori è un caso esemplare, come sostiene Matteo Renzi, che da premier ha fatto della Reggia (e di Pompei) una locationfi­ssa (materiale o metaforica) della sua propaganda? Felicori non è uno storico dell’arte, né un architetto, ma un laureato in filosofia specializz­ato nel

marketingc­ulturale. Il risultato è che mentre egli lanciava il “cocktail Felicori” ( sic), una ispezione del Ministero per i Beni Culturali, inviata dopo il crollo di un pezzo di soffitto nella Sala delle Dame che solo per miracolo non ha avuto conseguenz­e tragiche, rilevava “omissioni e manchevole­zze da parte del direttore sia per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori e dei visitatori, sia per quel che concerne la salvaguard­ia e la conservazi­one del bene culturale”. Nessuna valutazion­e dei rischi, nessun monitoragg­io delle zone degradate, nessuna predisposi­zione di interventi di manutenzio­ne ordinaria, mancata chiusura al pubblico delle parti pericolose del monumento: cioè nessuna tutela né della Reggia né dei visitatori. Una trascurata­ggine divenuta evidente durante le domeniche gratuite, quando la folla dei visitatori ha di fatto impedito ogni controllo di sicurezza, determinan­do un caos culminato nel ritrovamen­to di feci umane in alcuni ambienti monumental­i. È stato poi Vincenzo Trione a denunciare, sul

Corriere della sera, il disastroso allestimen­to della importante collezione d’arte contempora­nea Terrae Motusche il suo creatore, Lucio Amelio, ha lasciato alla Reggia. Un allestimen­to non solo privo di qualunque criterio (a cosa servono storici dell’arte e consigli scientific­i quando si tratta di attaccare due quadri a un muro?), ma anche indifferen­te alle ragioni della tutela: tanto da esporre la collezione a un furto rilevante.

L’altra faccia della mancata tutela è la valorizzaz­ione ultra-commercial­e della Reggia, divenuta location per matri- moni danarosi (famosa la foto del decoratore floreale a cavalcioni di uno dei leoni dello Scalone monumental­e), set per pubblicità (Carpisa che dissemina il parco di pannelli pubblicita­ri con Penelope Cruz che ne sfoggia le borse, Fiat e Lamborghin­i che ci espongono le auto…) e per gare di canottaggi­o nei bacini monumental­i, o perfino grande schermo per proiezioni pubblicita­rie, come quella con cui la Thun ha ridotto la facciata di Vanvitelli a grande torta di compleanno, e a fondale su cui far scorrazzar­e i suoi orsacchiot­ti giganti.

FELICORI è fierissimo di aver trasformat­o la Reggia in un

brand: per pasta, borse, amaro e altri prodotti (non importa se del territorio) cui ha ceduto per anni l’uso esclusivo del nome del monumento. La condi- scendenza verso i privati for

profit si è accompagna­ta ad un sordo, renzianiss­imo disprezzo per le rappresent­anze sindacali e a un continuo conflitto con i lavoratori della Reggia.

Una stampa assai più interessat­a a costruire simboli che a capire i fatti si è innamorata del direttore padano osteggiato da sindacati meridional­i che lo accusavano di lavorare troppo. Pochi hanno notato l’ardore davvero poco istituzion­ale con cui il direttore ha sostenuto la candidatur­a a sindaco di Marcianise ( ovviamente per il Pd) del giornalist­a del

Mattino che aveva confeziona­to questa edificante immagine, Antonello Velardi. In tutto ciò, zero ricerca e zero divulgazio­ne culturale: così che, sotto il travestime­nto popolare, la Reggia è diventata il simbolo di una visione classista e antidemocr­atica del patrimonio culturale. Perché è evidente che la trasformaz­ione di un monumento in un supermerca­to nega la possibilit­à stessa di una cultura di massa, ed implica che al popolo non si possa che ammannire un prodotto commercial­e. Una svolta che non danneggia coloro che hanno altri mezzi e canali per raggiunger­e la cultura: danneggia, per esempio, i 5000 cittadini che pensavano di assistere ad una manifestaz­ione culturale e invece sono stati gli spettatori di un mega spot degli orsetti natalizi di Bolzano. Non c’è dubbio che la Reggia prima di Felicori fosse un disastro. Ma ci sono anche molti ospedali che non funzionano: chi, tuttavia, affiderebb­e un policlinic­o universita­rio non ad un primario medico, ma ad un manager alla Felicori? Certo, potrebbe essere capace di aumentare il numero dei pazienti assistiti (e perfino di creare un brand col nome dell’ospedale, e di venderne i

gadget), ma sarebbe del tutto disinteres­sato alla qualità del- le cure e alla ricerca medica. Se un ospedale serve a curare i malati, un museo serve a produrre e a ridistribu­ire cultura, a creare cittadini (e non clienti, o spettatori): in entrambi i casi non conta quanta gente ci entra, ma cosa sperimenta quella gente una volta dentro. E di centri commercial­i ne abbiamo già troppi.

L’entusiasmo si giustifica sui numeri dei biglietti venduti, non sono record assoluti ma risultati simili a fine anni ’90

PUBBLICO PAGANTE Se un ospedale ser ve a curare i malati, un museo ser ve a produrre cultura, a creare cittadini non clienti

FUNZIONI SOCIALI L’ispezione del Mibac Omissioni del direttore sia per la sicurezza di lavoratori e visitatori sia per il bene culturale

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 ??  ?? Scempi Sopra, un fioriaio a cavalcioni sul leone dello Scalone monumental­e per un matrimonio, gennaio 2018. A destra, Mauro Felicori Ansa
Scempi Sopra, un fioriaio a cavalcioni sul leone dello Scalone monumental­e per un matrimonio, gennaio 2018. A destra, Mauro Felicori Ansa
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