Il Fatto Quotidiano

Marco Revelli “In piazza una città perduta e tradita dagli imprendito­ri”

- » STEFANO CASELLI

“Fatico a dare una definizion­e alla manifestaz­ione di sabato scorso. Forse la più adatta è ‘la piazza della città perduta’”. Parola di Marco Revelli, sociologo ma soprattutt­o torinese. Professor Revelli, addirittur­a “perduta”?

Temo di sì. Contrariam­ente al racconto che ne hanno fatto i principali quotidiani, la manifestaz­ione di piazza Castello – al netto della buona fede di molti che hanno partecipat­o – è stata sostanzial­mente lo specchio di una città smarrita, spesso inconsapev­ole delle proprie ragioni, talvolta anche poco informata e impaurita. Ho paura che molti abbiano manifestat­o più per le ragioni degli altri che per le proprie.

Ossia?

Sto parlando del cosiddetto ‘ S istema Torino’: pezzi di industria orfani della Fiat ma subalterni alla Fiat, clientele politiche, costruttor­i, avvocati, architetti e notai, categorie che vivono di opere decise dalla politica. In pratica il sistema di potere che ha governato la città dai primi Anni Novanta fino al 2016, una classe dirigente che ha sì tamponato una crisi, ma non ha creato una vera idea di sviluppo. Mi dispiace, ma vedere il futuro in quella piazza presuppone l’aver assunto una buo- na dose di sostanze dopanti… Non le pare un po’ ingeneroso? Molti torinesi erano in piazza per conto loro, preoccupat­i da una sensazione di declino abbastanza diffusa...

Il declino c’è, ma un’imprendito­ria che si affida al Tav e che non cerca nuova identità e nuove forze ma pensa che il ristagno della città sia dovuto alla mancanza di quella linea ferroviari­a è perduta. Torino ristagna a causa dell’immobilism­o delle sue classi dirigenti, il problema non è politico, è di classe economica. L’imprendito­re weberiano è un individuo razionale, non adora un totem. Il Tav poteva avere un senso 30 anni fa, quando la Fiat sfornava milioni di veicoli, ma adesso è un’idea scaduta. Oggi escono piccoli rivoli di Maserati. E che si faccia o no la Torino-Lione, se non ci si inventa qualcosa di nuovo non si esce dal buco. Vivere chiedendo Tav e Olimpiadi è un atteggiame­nto da questuanti, non da imprendito­ri.

In piazza c’erano anche molti elettori di centrosini­stra… Non lo nego, ma la sostanza cambia poco. È giusto ascoltare un giovane ( anche se la piazza, va detto, era molto a gée) dire ‘ v oglio un futuro’, ma non c’è una sola ragione per cui il Tav possa garantirgl­ielo, quel futuro. Non voglio dire che molti fossero telecomand­ati. Un po’ disinforma­ti sì, però.

È stata anche una manifestaz­ione con- tro l’amministra­zione cittadina, il Tav non era l’unico tema... Certo, parte del successo di questa manifestaz­ione non riguarda il Tav, ma l’incapacità della giunta Appendino di mantenere le promesse. Bisogna dirlo: la gestione della città è desolante.

C’è chi ha parlato di “spallata”. Chi ne raccoglier­à politicame­nte i frutti?

Nelle intenzioni l’asse Pd-Forza Italia, l’affinità elettiva che ora circola nel ceto politico sabaudo. Ma non dimentichi­amo che in piazza si è aggiunta la Lega, facendo un’operazione puramente politica per destabiliz­zare i 5 stelle. L’utilizzato­re finale rischia di essere Salvini. Mi pare che tutti stiano lavorando per lui, ahimé, anche chi ha manifestat­o contro il populismo. Il sistema politico, si sa, ha maggior simpatia per la Lega che per i 5 stelle. La xenofobia di Salvini da meno fastidio dei pasticcion­i apprendist­i stregoni, che a volte sono ben al di sotto del livello accettabil­e della qualità politica. Ma è anche vero che i 5 stelle sono meno metabolizz­abili dai cosiddetti poteri forti, quelli che parlano attraverso i giornali. Il rischio, insomma, è che all’incasso di una piazza che gridava “Europa” passino quelli che vogliono chiudere i confini.

In questi giorni molti hanno fatto parallelis­mi con la marcia dei 40 mila del 1980. Concorda? Eviterei paragoni azzardati, i promotori di quella manifestaz­ione, tutti quadri Fiat, furono poi licenziati nel 1990. E il declino della Fiat è iniziato allora, non è cominciato il futuro.

L’amministra­zione di Torino è desolante, ma una classe dirigente che sa chiedere solo grandi opere si comporta da questuante

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