Il Fatto Quotidiano

Mercati Ma l’aumento dello spread è da attribuire al governo o alla Bce?

- FILIPPO GAROFALO E. BOF. FRANCESCO FERDICO STEFANO FELTRI

Chiedo all’ottimo Ettore Boffano se era il caso di intervista­re l’ex (per fortuna) senatore Stefano Esposito del Pd, un ometto che ha costruito una carriera con la sua strampalat­a posizione “Sì Tav”. Il fatto che lui non abbia partecipat­o alla manifestaz­ione di Torino favorevole alla costruzion­e della linea Torino-Lione, per il concerto degli U2, la dice lunga sull’opportunis­mo del personaggi­o. Lo ricordo invece determinat­o quando venne silurato il sindaco di Roma Ignazio Marino, per essere fedele a chi aveva ordito il complotto. Ecco perché credo che il Fatto Quotidiano non avrebbe dovuto dare spazio a un simile tirapiedi. Stefano Esposito può essere criticato quanto si vuole, ma ha un grande merito: essersi opposto ai violenti delle battaglie No Tav e ai loro fiancheggi­atori politici e culturali. Questo lo rende e lo renderà sempre degno di essere intervista­to. PENSAVO, DA PROFANO ASSOLUTOin materia economica, che il nostro spread da 100 che era un giorno prima dell’insediamen­to di questo governo è andato subito in zona 250/300 e continua a zompettare da circa un paio di mesi e non dà l’idea che possa arrestarsi (almeno per quello che ne capisco io). Però sia Spagna – tra dimissioni di Rajoy, governo di minoranza e il gran casino della Catalogna – sia Portogallo, giusto per fare due esempi abbastanza simili a noi italiani, mantengono il loro spread intorno ai 100 punti (più o meno). Allora mi chiedevo se il Quantative Easing ha iniziato a rallentare (da 60 mld a 30, giusto?) già da qualche mese, il nostro spread potrebbe dipendere, almeno in buona parte, da questa diminuzion­e? GENTILE FRANCESCO, provo a rispondere alle sue obiezioni. I governi che lei cita sono considerat­i, a Bruxelles come a Berlino, esempi virtuosi. Spagna ePortogall­o, in modi diversi, hanno applicato le ricette che le istituzion­i europee ritengono utili anche all’Italia, tra contenimen­to della spesa corrente e riforme struttural­i. Possiamo discutere se siano ricette ottimali, ma dobbiamo prendere atto di quello che pensano i nostri partner europei e i nostri creditori internazio­nali: l’Italia è diventata diversa dagli altri. Per la prima volta c’è un governo che si impegna formalment­e a non rispettare gli impegni di riduzione del debito e contenimen­to del deficit prescritti dalla normativa europea e italiana. I governi Letta-Renzi-Gentiloni hanno ottenuto flessibili­tà per 40 miliardi, ma sia pur molto lentamente e parzialmen­te provavano comunque a ridurre il debito e a fare ogni anno un deficit inferiore all’anno precedente. Il Quantitati­ve easing non c’entra: la riduzione degli acquisti dovrebbe far salire i rendimenti del debito pubblico in tutti i Paesi dell’eurozona. Lo spread, che misura la differenza di rendimento tra debito italiano e tedesco, rimarrebbe fermo. Inutile raccontars­ela diversamen­te: questa volta il problema dell’eurozona è l’Italia, mentre nel 2011 i guai erano più condivisi. Il governo pensa che la soluzione sia una prova di forza per far cambiare le regole, all’estero in tanti pensano invece che la soluzione sia cambiare governo. A differenza che nel 2011, però, questa volta non sembrano esserci le condizioni politiche neppure per immaginare un governo tecnico che trovi la fiducia in Parlamento per applicare misure rassicuran­ti per i creditori. Per qualcuno è una buona notizia, per altri un ulteriore fattore di preoccupaz­ione.

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Ansa Diamo i numeri L’andamento dello spread

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