Il Fatto Quotidiano

Pernigotti, la calata dei turchi che ruba l’anima a Novi Ligure

- » FERRUCCIO SANSA inviato a Novi Ligure (Alessandri­a)

“Altro che torroni! Qui c’è in gioco molto di più”. Il signor Giacomo indica il marchio della fabbrica: Pernigotti 1860. “Parliamo di 158 anni di lavoro. Cioè la nostra storia e l’identità”. Parole grandi. Per questo ieri sera a Novi si sono riuniti tutti per un consiglio comunale aperto: politici e cittadini. Da chissà quanto non succedeva. Nel municipio non ci stavano, così sono andati nel museo dei Campioniss­imi Fausto Coppi e Costante Girandengo, nati su queste strade.

GIÀ, NON SONOsoltan­to – si fa per dire – i 100 dipendenti, i 130 stagionali e tutto l’indotto della Pernigotti. In questa sala si parla del destino di tutte le Novi d’Italia, cittadine con un passato che può essere comprato dal primo turco o cinese che passa. Novi è il prototipo, 28 mila abitanti, più di un paese, ma non abbastanza. Con il rischio di essere periferia, ma senza una città. Forse dell’outlet di Serravalle, il più grande d’Europa, che attira 5 milioni di persone l’anno. Ormai i ragazzi si ritrovano lì, tra costruzion­i che ricordano ranch americani, piuttosto che nella piazza della Piane. Proprio come in Texas, il film dell’alessandri­no Alessandro Paravidino.

“Diamo i cioccolati­ni al posto delle ostie” hanno proposto gli operai a don Luigi Vercesi che celebrava messa in fabbrica. Ma anche il sacerdote ha messo le mani avanti: “Non assicuro miracoli”. La proprietà turca non ha lascia- to molti spiragli: “Si chiude”. Unica concession­e: “La produzione resterà in Italia, ma esternaliz­zata”. All’incontro in Prefettura non si sono visti, hanno mandato gli avvocati, e chissà se ci saranno giovedì al Ministero dello Sviluppo Economico. “Da quando hanno comprato la società, dieci anni fa, li abbiamo visti un paio di volte”, raccontano il delegato sindacale Piero Frescucci e gli operai riuniti davanti alla fabbrica ferma. “Sono entrata nel 1981 – racconta Anna – qui dentro ci ho passato la vita. All’inizio eravamo seicento, ma sembrava una famiglia. Si parlava, ci si conosceva, quando qualcuno aveva bisogno lo a iu ta va mo ”. Da questi capannoni uscivano pacchetti luccicanti che finivano sulle tavole di milioni di italiani. C’era ancora la dinastia Pernigotti. “Il signor Stefano”, lo chiamano ancora così, per nome, anche se era il padrone. Chissà cosa pensa il vecchio Pernigotti, oggi novantenne, vedendo la ‘sua’ fabbrica ridotta così: “Poi l’hanno venduta agli Averna, quelli dell’amaro, e alla fine sono arrivati i turchi. Subito hanno aperto fabbriche in Turchia e hanno cominciato a ridurre il lavoro da noi. Abbiamo capito che non avevano intenzione di puntare sulla fabbrica di Novi”, sospira Emanuele, trent’anni. Già sua nonna lavorava qui, perché essere della Pernigotti era quasi un titolo ereditario. Una tradizione, appunto. È stato questo lo shock: scoprire che anche il marchio, la storia, te li possono comprare. Novi dalle tante anime: è pianu- ra, ma tira già un vento che arriva dal mare. Se cammini per i vicoli del centro storico, accanto alle case basse così piemontesi, trovi i palazzi delle famiglie patrizie genovesi – Doria, Balbi, Spinola – che comandavan­o la città. Del resto lo cantava anche Paolo Conte: “Genova per noi”. QUI LA CITTÀ di riferiment­o era la Superba, ma oggi se la passa perfino peggio. Poi, appena fuori, i centri commercial­i e i capannoni. Te lo spiega anche il sindaco, Rocchino Muliere (Pd): “Abbiamo l’Ilva che produce lamiere di qualità, le usano per Mercedes e Bmw”. Altra fabbrica, altra cri- si: “Ci lavorano 750 persone, ma speriamo di salvare tutti i posti”. E poi, certo, c’è il distretto dolciario e alimentare, l’altra anima. Lo leggi nelle insegne delle fabbriche: Novi o La Suissa, Campari. Fanno più di mille dipendenti. Agroalimen­tare di qualità, turismo e industria, vale per Novi, ma anche per tante terre del Nord, dal Piemonte al Veneto.

Sì, qui c’è in gioco molto più di un gianduiott­o. Passano in tanti sotto la tettoia della Pernigotti. Arrivano anche i Cinque Stelle: la senatrice Susy Matriscian­o e l’europarlam­entare Tiziana Beghin: “Il legame tra Pernigotti e Novi non si può cancellare”.

Ma la Turchia è lontana e stasera non resta che ritrovarsi qui, accanto a Coppi e Girardengo. Pedalare e faticare, come facevano i campioniss­imi, come ha fatto per secoli la gente di questa pianura che sa di campi e olio di fabbrica. Ma chissà dove si andrà.

Assemblea pubblica Tanti cittadini ieri sera al Consiglio aperto, perché c’è in gioco molto più di un gianduiott­o

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