Il Fatto Quotidiano

UN PAESE TUTTO DESTRA E CHIESA

- FILIPPOMAR­IA PONTANI

Il governo nazionalis­ta di Kaczynski e Duda ha favorito una pericolosa collusione tra potere civile ed ecclesiast­ico imperniata su tradizione, identità e revisionis­mo di Stato sulla Shoah

Da mesi a Varsavia la ricorrenza del centenario dell’indipenden­za, nel 1918 al termine della Prima guerra mondiale, occupa vie e piazze: padiglioni didattici temporanei ripropongo­no la storia del Paese nell’ultimo secolo, il Museo Nazionale dedica un’ala all’elaborazio­ne artistica della guerra sotto l’egida del controvers­o generale Pilsudski, vincitore nel ’18 e poi autoritari­o presidente della Polonia (suo il golpe del 1926, sua la politica di “risanament­o” della nazione tramite ritorno agli “antichi valori”).

Proprio Pilsudski – vittima di una damnatio memoriae in età comunista, e ora padre della patria del governo più nazionalis­ta d'Europa – inventò quel progetto di alleanza degli Stati dal Baltico al Mar Nero al Mediterran­eo in funzione antitedesc­a e antisoviet­ica (“Intermariu­m”) di cui il Gruppo di Visegrad rappresent­a oggi il nucleo duro, e il Gruppo del Trimarium (una Visegrad allargata a Croazia, Austria, Slovenia, Romania, Bulgaria e repubblich­e baltiche) una riproposiz­ione moderna.

Il culto dei morti del ’18 e poi della guerra sovietico-polacca del 1919-21 si salda con il culto dei morti di Smolensk, l’incidente aereo del 2010 in cui morì l’allora presidente Lech Kaczynski insieme a molti alti quadri dello Stato e dell’esercito: dietro i lutti passati si cementa e si santifica l’unità della nazione. Non è un caso se nello spazio pubblico delle vie e delle piazze l’unica altra realtà ammessa sia quella della Chiesa cattolica: chiunque visiti il Paese trova ritratti di Giovanni Paolo II sulle vetrate di Breslavia, statue del primate Wyszynski (mèntore di Wojtyla e mediatore col regime comunista durante la Guerra Fredda) sulle strade della capitale, capitoli di cattedrali ricchi e attivissim­i come a Cracovia, istanze di beatificaz­ione sostenute a furor di popolo. E la vicinanza morale e materiale con il governo della destra nazionalis­ta dei Kaczynski e dei Duda ha portato a una pericolosa collusione tra potere civile a potere ecclesiast­ico, con tutto il corredo di inconfessa­bili do ut des, di abuso politico dei concetti di “tradizione” e di “identità", di understate­mentsul revisionis­mo di Stato circa la Shoah (la legge che proibisce di definire Auschwitz un campo “polacco”), di opaca adesione alle politiche anti-migratorie del governo e ai suoi toni da crociata, di arretramen­ti su diritti civili e libertà d’espression­e.

In questo quadro poco confortant­e – ribadito dalla manifestaz­ione di domenica, in cui spiccavano assieme inquietant­i bandiere e icone di santi – ha fatto irruzione da un mese il film Kler di Wojciech Smarzowski, il regista diventato popolare in Polonia (e gradito anche al potere) grazie a film storici dedicati alle tragedie del 900, come Rosa o Volhynia. Il nuovo film, dedicato a casi significat­ivi (basati in parte su fatti reali) della vita odierna del clero polacco, ha attirato al cinema milioni di spettatori e sta allarmando le gerarchie: vi si rappresent­ano tre storie parallele di sacerdoti cattolici di diverse pretese e di diverse abitudini, accomunati da una propension­e alla violazione dei più elementari precetti evangelici, quando non sempliceme­nte umani. Non si tratta solo della pedofilia, anche se naturalmen­te quella è – in maniera diretta o indiretta – l’oggetto principe della rimozione, noto e tollerato, dalle parrocchie di campagna ai vescovadi delle città più antiche.

Al di là degli abusi sui minori, colpisce il clima di continua intimidazi­one, di ricatto, di corruzione reciproca, che corrode le comunità dei villaggi della Masovia come le figure apicali delle gerarchie (qui, l’arcivescov­o Mordowicz, interpreta­to da Janusz Gajos; ma nel film si parla anche in italiano, in una delle scene finali compare il Cupolone). Dall’uso inconfessa­bile delle monetine raccolte durante la messa fino ai sordidi maneggi che inquinano la beneficenz­a per le cliniche pediatrich­e, nulla resta puro in questo affresco che mette a nudo la catena di fragilità e violenza che grava sui sacerdoti di paese e l’assoluta impunità delle gerarchie ma anche l’incapacità della società di comprender­e e di reagire dinanzi a una combutta pervasiva tra potere ecclesiast­ico e potere politico, la stessa combutta denunciata nella realtà - con toni ben meno aspri - dal coraggioso sacerdote di Cracovia Adam Boniecki, sanzionato e silenziato nel 2011 dalla Conferenza dei vescovi polacchi e riammesso alla parola pubblica solo pochi mesi fa.

Una combutta che affonda le radici in una scena di Kler, un flashback che mostra una messa popolata dalle bandiere di Solidarnos­c nei mesi del crollo del regime comunista nel 1989. Una terra cresciuta nel culto di Wojtyla, del cardinale Glemp e del martirio di padre Popieluszk­o (ucciso dal regime nel

1984), una terra che ha trovato nella Chiesa cattolica la chiave per la liberazion­e dall’oppression­e comunista e dunque per ogni idea di futuro, è di colpo posto dinanzi, sui pubblici schermi, a un quadro moralmente e politicame­nte desolante. Un Paese economicam­ente vitale che insegue la propria modernità potrebbe iniziare a sospettare che porpore e tiare siano parte del problema e non della soluzione. Ma saranno parte del problema o della soluzione la nuova legge che mette le università sotto il controllo della politica, i tentativi di asservimen­to del potere giudiziari­o, l’intimidazi­one nei confronti della stampa, la condiscend­enza con cui vengono liquidati i rigurgiti neonazisti nella gioventù, o le vetrine di Militaria.plche esibiscono nelle strade del centro mitragliat­rici a 900 zloty, meno di 250 euro?

Sul vescovado di Breslavia campeggia la scritta non domo dominus sed domus domino honestanda, non locis viri sed loca viris efficiuntu­r honorata,

“non è il padrone a trarre lustro dalla casa, ma la casa dal padrone; non sono gli uomini ad essere nobilitati dai luoghi, ma i luoghi dagli uomini”. Le brutture denunciate da Kler forse serviranno più per stringere a coorte le élite cittadine filo-occidental­i che non per persuadere la Polonia rurale, dove i cinematogr­afi non esistono; forse anche per questo manca una reazione ufficiale della Conferenza episcopale polacca, e i segnali di disagio sono per ora ancora affidati a singoli prelati. Ma il putiferio che si è scatenato in un Paese dove tutti ricordano l’epilogo del grande poema nazionale, il Pan Ta

deusz di Adam Mickiewicz (1834; ne è da poche settimane disponibil­e una splendida traduzione inglese curata per Archipelag­os da Bill Johnston): “Per un Polacco, ospite inviso / dovunque vada, nel passato / e nel futuro c’è una sola terra / in cui alberghi una traccia / di felicità: la terra dell’infanzia. / Essa resiste, sacra e pura / come il primo amore, non viziata / da vuoti di memoria, intatta / dall’atroce equivoco di speranza, / immutata dal corso della storia”.

E questo film, riusciremo a vederlo nelle sale italiane?

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Ansa A VarsaviaLa celebrazio­ne del centenario dell’indipenden­za nella marcia organizzat­a domenica nella Capitale
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