Diamanti in banca, il Tar conferma le multe
Sanzioni per oltre 12 milioni per due broker del settore, Unicredit, Mps e Bpm
Arrivano
le prime sentenze sulla vendita dei diamanti “da investimento” in banca, un business opaco che negli ultimi 15 anni ha realizzato un fatturato stimato in almeno 2 miliardi sulla pelle di decine di migliaia di risparmiatori. Con cinque sentenze emesse il 17 ottobre e pubblicate ieri, il Tar del Lazio ha confermato le multe da 12,35 milioni inflitte il 20 settembre 2017 dall’Antitrust a Intermarket Diamond Business (Idb) e Diamond Private Investment (Dpi), i due principali broker del settore, come pure a Unicredit, Mps e Banco Bpm. I giu- dici del tribunale amministrativo della capitale hanno rigettato i ricorsi presentati dalle società e dalle banche affermando che le sanzioni comminate dall’Autorità per la concorrenza sono pienamente motivate e commisurate alle modalità di offerta delle pietre “gravemente ingannevoli e omissive”, con prezzi “auto- nomamente fissati e progressivamente aumentati negli anni” dai broker a livelli molto superiori a quelli dei listini internazionali, come dimostrato dalla Consob, presentati invece come “quotazioni emergenti dalla contrattazione in mercati organizzati”.
PER QUESTI MOTIVI l’ Antitrust aveva colpito Id be D pi, insieme alle banche che– percependo commissioni lucrosi ssim e–collaboravano a“proporre l’ investimento a una specifica fascia della propria clientela”. Le sanzioni sono di 9,35 milioni per il canale gestito da Idb (2 milioni al broker, 4 a Unicredit e 3,35 a Banco B- pm) e 6 milioni per il canale gestito da Dpi (un milione al broker, 3 a Banca Intesa – che non aveva presentato ricorso – e 2 a Mps).
Secondo il Tarle clausole dei contratti con i broker non schermano le banche dalle lo- ro responsabilità perché è stata dimostrata “l’asimmetria informativa esistente” tra gli istituti di credito e consumatori, i quali erano convinti che i loro interlocutori non fossero le società specializzate ma le banche stesse.
NEL CASO di Unicredit, il Tar spiega che la banca stessa “ammette di non aver operato alcuna verifica sul contenuto d el l ’ of f er t a ” dei diamanti, “comportamento che non risponde alla diligenza professionale che ci si attende dalle banche che decidano di fornire ai clienti una consulenza in materia di investimenti”. Per i giudici è dimostrato che “l’at- tività di segnalazione” delle banche “comportasse un ruolo attivo nella dinamica in cui il consumatore era coinvolto… confermato dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni” dei consumatori. Per questa attività “la banca conseguiva una provvigione pari a una percentuale dell’operazione conclusa tra il 10 e il 20%”. Motivazioni che hanno portato il Tar a ritenere i ricorsi infondati. Contro le sentenze le tre banche e i due broker ora possono ricorrere al Consiglio di Stato. Sulla vicenda è in corso anche una indagine per truffa condotta dalla Procura di Milano.
Codice alla mano Per i giudici l’offerta delle pietre è stata “gravemente ingannevole”