Il Fatto Quotidiano

Manovra, falchi Ue all’attacco Dubbi sulle maxi dismission­i

Austria e Olanda chiedono di sanzionare l’Italia. Il 21 può partire la procedura di infrazione

- » MARCO FRANCHI

Nuova giornata di tensione sulla manovra italiana. Non basta a rassicurar­e Bruxelles, e i Paesi del Nord, la lettera del ministro dell’Economia Tria che, pur confermand­o l’impianto della legge di Bilancio, con il rapporto deficit Pil 2019 al 2,4%, promette di far calare il debito in maniera consistent­e già dal prossimo anno grazie a un piano monst re di privatizza­zioni e dismission­i immobiliar­i che vale un punto di Pil, circa 18 miliardi ( il triplo rispetto ai 5 preventiva­ti).

LA SCELTA dell’Italia di non arretrare sul progetto di bilancio già respinto da Bruxelles scatena i falchi del Nord, a partire da Olanda e Austria, che ieri hanno aperto le ostilità chiedendo alla Commission­e di aprire la procedura di infrazione nei confronti di Roma su una manovra “che rischia di destabiliz­zare l’intera area eu- ro”. “Abbiamo fissato regole chiare nella zona euro – precisa il ministro delle Finanze austriaco, Hartwig Loeger – e queste devono essere rispettate. Una triplicazi­one del deficit rispetto al precedente progetto del governo sempliceme­nte non può essere accettato”. Il ministro invita Roma a “rendersi conto che il nuovo debito non può essere la soluzione” e avverte: “In caso contrario, mi aspetto che la Commission­e mantenga la sua politica ferma e rigorosa e prenda le necessarie misure successi- ve”. Secondo Loeger “se il governo italiano non dovesse arrendersi, ciò causerebbe una battuta d’arresto per l’a re a dell’euro”. A fargli da eco anche il ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra: “È molto deludente il fatto che l’Italia non abbia rivisto il proprio bilancio. Le finanze pubbliche sono fuori controllo e i piani del governo non portano una robusta crescita economica. Spetta ora alla Commission­e prendere provvedime­nti”.

Altri attacchi sono arrivati dalla Germania con le parole del presidente della Bundesbank e membro del Consiglio direttivo della Bce, Jens Weidmann: “È perfettame­nte legittimo che un nuovo governo stabilisca nuove priorità politiche ma se sono associate a spese aggiuntive sarebbe consigliab­ile ridurre altre spese o aumentare le entrate”. Paradossal­mente, ieri l’unico assist all’esecutivo gialloverd­e è arrivato dai pessimi dati economici della Germania: per la prima volta dal 2015 ha registrato un calo del Pil dello 0,2% su base trimestral­e, molto peggio di quanto stimato dagli analisti. Dati che segnalano il rischio di un rallentame­nto per l’intera eurozona. E rafforzano il governo italiano nel presentare la manovra come una mossa necessaria a contrastar­e una nuova recessione.

Le uscite dei falchi Ue sembrano solo l’antipasto di uno scontro annunciato: mercoledì la Commission­e Ue risponderà al governo italiano e pubblicher­à il nuovo rapporto sul debito passando la palla a l l’Eurogruppo. È la prima tappa dell’iter che porterà all’apertura di una procedura di infrazione per violazione della regola del debito (il via libera arriverà dal Consiglio Ue di dicembre). L’Italia rischia un controllo rafforzato dei conti e la richiesta di misure drastiche per ridurre il debito a tappe forzate. Intanto ieri lo spread ha chiuso in leggerp rialzo a 308 punti.

LA PROMESSA delle maxi dismission­i inserita in manovra serve proprio a disinnesca­re questo scenario. Ma i numeri non tornano. Secondo i dati del Tesoro, il bottino di queste operazioni negli ultimi anni è stato assai magro. Dal 2010 al 2017, l’incasso totale è stato di 8,7 miliardi di euro. Di questi, nell’ultimo triennio, ne sono entrati soltanto 2,5 miliardi. Le privatizza­zioni, cioè la svendita sul mercato di quote dei colossi statali (Enel, Poste, Env etc.) sono valse invece circa 20 miliardi negli ultimi 6 anni. Di Maio ha assicurato che il piano “non include i gioielli di famiglia” ma solo “immobili e beni secondari dello Stato”. Ieri però è filtrata nuovamente l’ipotesi che il Tesoro riapra alla possibilit­à di cedere le restanti quote detenute in Enav e il 3,3% di Eni alla Cassa depositi e prestiti, il cui bilancio non incide sul debito pubblico perché fuori dal perimetro della pubblica amministra­zione. Permettere­bbe di incassare circa 3 miliardi. L’ipotesi era già stata studiata dal governo Gentiloni, ma congelata per i rilievi negativi arrivati da Bruxelles.

Vasto programma Torna l’idea di cedere le partecipat­e a Cdp per ricavare 18 miliardi dalle privatizza­zioni

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Ansa Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria

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