“Questo accordo sarà affondato in Parlamento”
Andrew Adonis L’ex ministro: “In questi due anni è emersa la verità sulle conseguenze della separazione”
Lord Andrew Adonis, 55 anni, è una delle menti più acute del fronte anti-Brexit. Figlio di un immigrato cipriota, è uno studente tanto brillante da essere ammesso a Oxford. Da lì la sua carriera decolla: nel 1998 è consigliere politico del governo Blair, poi nominato alla Camera dei Lord e ministro laburista prima dell’Istruzione e poi dei Trasporti.
Le sue capacità sono riconosciute anche da David Cameron, che lo vuole presidente della Commissione Infrastrutture. Theresa May lo conferma, ma nel 2017, in dissenso con la politica governativa sulla Brexit, si dimette e aderisce a The People’s Vote, la campagna per un secondo referendum.
Lei ha detto che l’accordo di Theresa May verrà massacrato da entrambi gli schieramenti. Perché è inaccetta--
bile per tutti?
Per il Labour non è accettabile perché peggiora enormemente la situazione del Regno Unito rispetto a quella di cui godiamo stando nell’unione. Ma capisco anche il punto di vista dei Brexiters quando dicono che tiene il Paese in uno stato di vassallaggio in cui dobbiamo seguire le imposizioni di Bruxelles senza voce in capitolo. Escludo che sopravviva al voto in Parlamento. Noi non lo voteremo.
Una sconfitta parlamentare significa l’abisso del no deal. Chi avrà davvero il coraggio di prendersi questa responsabilità di fronte al Paese? Si sbaglia, questo è lo spauracchio agitato dalla May per ottenere il voto. Le alternative sono due: nuove elezioni – ma dubito che i Conservatori provocheranno una crisi di governo perché rischiano di perderle – o un secondo referendum che contenga l’opzione di restare in Europa.
E ci sono i numeri alla House of Commons per ottenere un secondo referendum? La situazione ora è molto fluida, ma prevedo che a dicembre, quando esploderà la crisi parlamentare, saranno in molti a vedere il voto popolare come unica soluzione.
Con quali tempi? Abbiamo calcolato circa sei mesi, quindi a giugno. Sarà necessaria un’estensione dell’articolo 50….
Per la quale serve l’assenso di 27 Paesi europei…
Sì, ma ci è stato fatto capire che sarebbero molto più favorevoli a concederla per un secondo referendum che per ulteriori negoziati.
E cosa le fa credere che stavolta prevarrebbe il R emain?
I sondaggi registrano un rilevante cambiamento nell’opinione pubblica, dovuto a due fattori: in questi due anni è emersa la verità sulle conseguenze dell’uscita, e soprattutto c’è stata una mobilitazione fra i più giovani, le generazioni più danneggiate. Penso che un voto popolare vedrebbe una altissima partecipazione di ragazzi e under 40.
Ma non teme che una nuova campagna referendaria inasprirebbe le divisioni già for-
ti nel Paese?
È vero, le divisioni sono profonde. Ma l’esperienza mi ha insegnato che il loro principale motore è la povertà, e lasciare l’Unione finirà per impoverire ampi settori della popolazione. L’unica soluzione sensata è restare.
C’è però l’elefante nella stanza: l’opposizione di Jeremy Corbyn, che anche di recente ha escluso un voto popolare. Lei tenta da mesi di convincerlo senza successo…
Jeremy vuole andare al governo, e lo voglio anche io. Ma se non sarà possibile avere nuove elezioni, la strada è il referendum, come chiaramente indicato dalla maggioranza dei delegati laburisti all’ultimo congresso. Il Labour è un partito democratico. Anche il segretario deve seguire le indicazioni della maggioranza.
Il primo ministro agita lo spauracchio del ‘no deal’ ma ci sono alternative, e un nuovo referendum premierebbe il Remain