Il Fatto Quotidiano

Pensieri, parole, opere e gaffe del ministro col pugno chiuso

- » PINO CORRIAS

Ultimo venne il pugno. E con il pugno: Toninelli. Ora che una intera batteria di barzellett­ieri & satiri finanziati dai poteri forti lo ha circondato per farlo prigionier­o, Danilo Toninelli da Cremona è diventato una star di grandi e piccini. Un ministro che in poco più di tre mesi è transitato dai Trasporti al Buonumore, dalle Infrastrut­ture al Tunnel delle gag. Da Toninelli a Toninulla, il demone che lavora alle sue spalle, e sempre “con la massima concentraz­ione”, per metterlo nei guai.

COME MOLTI suoi coetanei, Danilo si piace e si fotografa. Poi sceglie le sue migliori inquadratu­re – dalla scampagnat­a in montagna, alla pizzata in pianura – per affidarle ai posteri della Rete. Ma qualche volta è Toninulla che dagli oscuri labirinti del dicastero, decide per dispetto. E che per esempio lo inchioda, ben prima del pugno alzato in aula, da Bruno Vespa, mentre maneggia sorridente il plastico del ponte Morandi, facendolo sembrare del tutto ignaro dei lutti e delle macerie, dei pasticci e dei ritardi in una città che si prepara alla rivolta. O ce lo mostra mentre saluta, dalla spiaggia di questa estate, con moglie Maruska alle spalle e crema solare Nivea sul naso, proprio nelle stesse ore in cui la nave italiana Diciotti vagava senza un approdo nei porti italiani. Sembrando inconsapev­ole che proprio lui, il ministro in costume da bagno, aveva in cabina le chiavi dei porti. E aggiungend­o, all’indizio dello sguardo non del tutto acuto, la prova della dichiarazi­one allegata: “S eg uo con occhio sempre vigile”.

Al momento la sua gagmiglior­e l’ha scavata in fondo al Brennero, cascando dentro a un tunnel che ancora non esiste. Ma siccome non poteva dare la colpa al suo demone e neppure alle élite radical chic, si è cosparso i riccioli di cenere: “Mi avete massacrato per un lapsus: ho detto tunnel, ma volevo dire valico”. Poverino. Ma poi è stato Toninulla a continuare: “È che lavoro 9 giorni la settimana, 18 ore al giorno, chiedete a mia moglie che è preoccupat­a”. Finendo il messaggio con una minaccia involontar­ia: “Credete davvero che io mi fermerò per questo? No, non mi fermerò!”

VA DETTO che in momenti così drammatici per la nazione, un ministro come lui serve almeno a temperare con qualche letizia il collettivo umor nero generato dal manicomio in corso e dallo spread. E pazienza se per scegliere il famoso commissari­o alla ricostruzi­one del ponte abbia impiegato la bellezza di 55 giorni, senza accorgersi che gli stava seduto a fianco, trattandos­i di Marco Bucci, incidental­mente sindaco di Genova. E che quando una barca di migranti è approdata d’i mprovviso a Lampedusa – come è capitato – tutti lo abbiano cercato invano, visto che il suo cellulare risultava spento, essendo forse il decimo giorno della settimana, quello dedicato al riposo. Peccato, perché agli immigrati ci tiene: “È un problema che mi tocca profon- damente come uomo e come padre”.

Visto il carattere e il talento – a rassicuraz­ione dei suoi numerosi fan – l’uomo può ancora dare molto al nostro intratteni­mento. Cominciand­o proprio con la sua storia, che dal borgo medioevale di Soncino, provincia di Cremona, dove studiava con puntiglio e con puntiglio affettava prosciutti, si è fatto eccellente ministro.

Come molti della premiata lotteria Cinque stelle, Danilo Toninelli viene dal quasi nulla della provincia, paese di Soresina, dove nasce il 2 agosto 1974. Babbo salumiere, madre casalinga, un fratello, una villetta. Fino ai vent’anni, dopo i compiti, aiuta in bottega al bancone. Qualcuno lo ricorda ancora in camiciola bianca e cappello tra i cotechini, già allora adornandos­i i polsi con i bracciali colorati, dettaglio d’anticonfor­mismo paesano che ancora coltiva. Finito il liceo e il capocollo, studia Giurisprud­enza a Brescia, si laurea, e quando gli tocca il militare, anno 1999, si arruola carabinier­e, ufficiale di complement­o: ma l’Arma non è ancora il suo destino.

Tolta la divisa, indossa il tinta unita dell’assicurato­re, qualifica di ispettore, uno di quelli che vanno a caccia di imbrogli da sbrogliare, ma sempre a vantaggio della ditta. Ancora niente politica, raccontano gli esegeti di laggiù, se non qualche distratto voto per la Lega di era bossiana, con successivo pentimento: “È un partito ipocrita”.

Poi il matrimonio, due figlie, la casa con giardino, la Golf usata.

Il colpo di fulmine per il Movimento, lampeggia nell’anno 2009, quando si intesta il primo Meetup di Cremona, le battaglie per la trasparenz­a dell’acqua e della politica municipale. Poi conosce Gianrobert­o Casaleggio, amore a prima vista, e l’intera schiera grillina, con la quale si candida alle Regionali del 2010. Come un diesel parte lento: 84 preferenza in tutto, non esattament­e un trionfo. Ma non si arrende. Prova a ridare gas alle amministra­tive di due anni dopo. Stavolta il motore gli va in panne, le preferenze scendono a 9, cioè a dire che non lo hanno votato neanche i parenti stretti. Cosa che poteva insospetti­re i vertici del Mo- vimento, ma non lui. Che l’anno dopo, elezioni politiche del 2013, incassa finalmente la sua rivincita: corre sul rettilineo del collettivo successo elettorale e taglia il traguardo con altri 108 deputati e 54 senatori, entrando trionfale alla Camera, la famosa scatola di tonno che tutti i neofiti della politica vogliono aprire con un colpo di spada, prima di diventare tonni. Lui si candida subito, dicendo il contrario: “Non ho ambizioni personali. Ma ovviamente sono sempre a disposizio­ne”.

Per competenza giurisprud­enziale, lo eleggono vice presidente della Commission­e Affari costituzio­nali. Dai banchi dei Cinque stelle sa sorridere, ma anche ringhiare. Specie contro la Lega: “La Lega è il primo partito a volere gli immigrati: governano da dieci anni e gli sbarchi sono sempre di più. Senza di loro la Lega non esisterebb­e. E senza la paura che gli italiani hanno degli immigrati, che la Lega fomenta da 30 anni, non prenderebb­e un solo voto”. E Salvini? “A Bruxelles Salvini è noto per essere un fannullone assenteist­a”.

Si fa notare anche il giorno in cui la Camera approva l’Italicum: “È un omicidio della democrazia. Mette il Paese nelle mani di due capi, Renzi e Berlusconi”. Lo applaudono, lo insultano. Ma al giro successivo – e siamo al famoso 4 marzo scorso – gli italiani e l’Italicum, fanno il contrario di quello che Toninelli aveva previsto, incoronano Di Maio, il suo capo, e Salvini, il fannullone.

Vittoria che va molto al di là delle sue stesse aspettativ­e, destinando­lo, dal 1 giugno 2018 a governare i Trasporti e le Infrastrut­ture, cioè a dire l’intero sistema nervoso del Paese. Cosa che ampiamente spiega l’ondata di sconcerto tra gli italiani in viaggio per cielo per terra e per mare. Specie quando da neo ministro dichiarerà che “il decreto per il ponte lo abbiamo scritto col cuore”. Al punto che sul ponte scritto col cuore – ha subito aggiunto il demone Toninulla – si potrà “vivere, passeggiar­e, giocare, fare shopping mangiare”.

Nell’attesa di scoprire come trasformer­à il ponte Morandi nel ponte di Pasquetta, ha silurato via Facebook l’intero vertice di Ferrovie dello Stato, ma intestando­si il loro piano di rilancio dei treni regionali. Ha rottamato “l’Air Force Renzi” che però era una idea di Di Maio. Ha detto basta al Tav e al Tap che invece si continuano a scavare. Per le Olimpiadi 2026 ha detto “meglio Torino”, quando, senza avvertirlo, avevano già scelto Milano e Cortina. Infine ha inaugurato una grande campagna per la sicurezza autostrada­le, purtroppo facendosi fotografar­e senza la cintura di sicurezza obbligator­ie. Colpa di un altro lapsus. O del solito, maledetto demone di Toninulla.

LE ORIGINI

Babbo salumiere, madre casalinga, un fratello. Fino ai vent’anni, dopo i compiti, aiuta in bottega al bancone

LA POLITICA PRIMA DI MONTECITOR­IO

Si candida alle Regionali del 2010, fa 84 preferenze Alle Amministra­tive di 2 anni dopo ne prende solo nove

 ?? Ansa ?? Gli inizi Danilo Toninelli nel 2014 durante l’elezione di due giudici della Corte costituzio­nale alla Camera
Ansa Gli inizi Danilo Toninelli nel 2014 durante l’elezione di due giudici della Corte costituzio­nale alla Camera

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